Con il termine “dissing” definiamo solitamente una gara di insulti che avviene principalmente nell’ambito della musica hip-hop e rap. I cantanti si sfidano e provocano con frecciatine ma anche in modo aperto e pesante all’interno dei testi delle loro canzoni. Celebri sono la battaglie verbali fra N.W.A e Ice Cube, Nicky Minaj e Cardi B e molte altre ancora.
Anche in letteratura non mancano esempi di sfide di insulti, oppure di ironiche sottigliezze che mirano a far sfigurare l’avversario. I veri inventori del “dissing” potrebbero quindi essere considerati grandi autori come il latino Cicerone, Dante e Galileo Galilei, che in alcuni loro scritti non risparmiano i bersagli della loro derisione.
1. Cicerone e le “Catinilinarie”
Quousque tandem abutere, Catilina, patientia nostra?
Fino a quando dunque, Catilina, abuserai della nostra pazienza?
Celeberrima frase di sdegno pronunciata da Marco Tullio Cicerone (106-43 a.C.), oratore, filosofo, avvocato, politico e scrittore latino. È l’incipit della prima delle quattro orazioni dette “Catilinarie” del 63 a.C. Queste avevano lo scopo di denunciare i progetti eversivi di Lucio Sergio Catilina. Il rivoluzionario aveva complottato contro il console, Cicerone per l’appunto, per creare disordini e prendere il potere, senza riuscire poi ad attuare il suo piano. Mancando prove incontrovertibili della colpevolezza di Catilina, il console con queste invettive violente mirava a far spaventare l’avversario spingendolo così a mosse azzardate che lo avrebbero reso nemico pubblico. L’oratore sottolinea con grande pathos l’impossibilità di tollerare oltre il comportamento sfrontato e illegale dell’accusato, sollecitando una pronta e dura reazione da parte del senato. Attraverso una complessa e articolata trama di artifici retorici, con sapiente abilità pone l’accento sul pericolo che Catilina costituisce per lo stato romano più che per lui in prima persona. Cicerone si scaglia su di lui dipingendolo come un uomo scellerato, in preda al furor, elemento inconcepibile nell’ordinata mentalità romana, e incalzandolo con espressioni di forte indignazione.
2. Il canto XXX dell’Inferno dantesco: la tezone di Mastro Adamo e Sinone
Dante assiste allo scontro tra Mastro Adamo e Sinone nel canto XXX dell’Inferno. Essi si trovano nella decima bolgia dell’ottavo cerchio nella quale sono puniti i falsari. Il primo era un monetiere che aveva falsificato i fiorini d’oro e, una volta scoperto, bruciato sul rogo. Si presenta come afflitto dall’idropisia che lo deforma facendolo assomigliare ad un liuto, a causa della pancia gonfia. Il secondo, irritato per essere stato nominato da Mastro Adamo, è affetto dalla febbre e giace steso in terra, scontando il peccato di falsatore di parole. Si tratta di colui che nell’Eneide convinse i troiani a portare dentro le mura il cavallo di legno. Questi due personaggi mettono in atto una volgare e grottesca rissa che riprende, nella struttura botta e risposta, la poesia comico realista. In tale genere Dante stesso si era cimentato nella tenzone con Forese Donati. I due dannati si offendono con crudeltà, in uno scambio impietoso in cui l’uno si diverte sadicamente a mettere in risalto le fragilità e le colpe dell’altro. Il linguaggio è triviale, gergale e aspro in linea con il clima dei contenuti irriverenti.
Ond’ei rispuose: «Quando tu andavi
al fuoco, non l’avei tu così presto;
ma sì e più l’avei quando coniavi».E l’idropico: «Tu di’ ver di questo:
ma tu non fosti sì ver testimonio
là ’ve del ver fosti a Troia richesto».«S’io dissi falso, e tu falsasti il conio»,
disse Sinon; «e son qui per un fallo,
e tu per più ch’alcun altro demonio!».«Ricorditi, spergiuro, del cavallo»,
rispuose quel ch’avea infiata l’epa;
«e sieti reo che tutto il mondo sallo!».«E te sia rea la sete onde ti crepa»,
disse ’l Greco, «la lingua, e l’acqua marcia
che ’l ventre innanzi a li occhi sì t’assiepa!».
3.Galileo Galilei contro Orazio Grassi: “Il Saggiatore”
Nel contesto secentesco di diffusa curiosità verso l’universo e di nuove teorie cosmologiche si inserisce l’animata e pungente disputa fra Galileo Galilei e il matematico gesuita Orazio Grassi. Quest’ultimo difendeva le posizioni della Chiesa e interpretava il fenomeno delle comete del 1618 nell’ottica del sistema cosmologico ibrido di Tycho Brahe. Galilei contro queste idee scrisse un’opera alla quale Grassi replicò a sua volta, con lo pseudonimo di Lotario Sarsi, con la sua “Libra astronomica ac philosophica”. La controreplica dell’astronomo pisano si realizzò ne “Il Saggiatore”, il cui titolo si pone in diretta polemica con la “Libra”. Era infatti detta “saggiatore ” la bilancia di precisione usata dagli orafi, la “libra” invece era una bilancia approssimativa, dunque non infallibile. La sottile e ironica critica si svolge anche sul piano letterario in cui viene costruito un dialogo oltre che con il destinatario dell’opera anche direttamente con il rivale, chiamato in causa col suo pseudonimo. Lo scrittore riporta circa una cinquantina di stralci dalla “Libra” e li commenta e confuta con sarcasmo tagliente, mettendoli in netto contrasto anche sul piano linguistico: il latino lezioso e impreciso di Grassi sfigura di fronte all’esatto e chiaro volgare di Galileo.