Che cos’è l’infinito? Rispondono il filosofo Giordano Bruno e il pittore C. D. Friedrich

L’uomo può in qualche modo riuscire a raggiungere “L’infinito”?

Il simbolo dell’infinito, interpretato artisticamente da Escher come nastro di Moebius nell’opera Nastro di Moebius II (1963).

Dalla rivoluzione scientifica in poi il concetto di infinito ha subito una rielaborazione, “trasformandosi” da mera caratteristica di Dio a base di tutta la realtà, diventando, dunque, oggetto d’interesse di artisti, filosofi e letterati che nel tempo hanno cercato di rappresentare la naturale tensione umana verso l’infinito.

La rivoluzione dell’infinito in Giordano Bruno

Giordano Bruno è sicuramente uno degli artefici della radicale “trasformazione” del concetto di infinito avvenuta durante la rivoluzione scientifica; il filosofo, infatti, è l’iniziatore del moderno concetto di infinito. Grazie all’assunzione della dottrina copernicana l’infinito diviene il fondamento stesso dell’universo.  Tuttavia il concetto di infinito raggiunge il suo apice in riferimento alla nozione di Dio inteso come intelletto universale, fabbro del mondo e motore dell’universo. Dio si configura, quindi, sia come radicale alterità rispetto alla natura (trascendente e inconoscibile e dunque oggetto di fede) sia come ente immanente al cosmo e quindi coincidente con la natura ed accessibile alla mente umana. Al contrario della divinità cristiana che si limita alla creazione, il Dio-Natura di Bruno è in costante contatto con il creato poiché egli è sia “natura naturans” cioè causa di vita, sia “natura naturata” cioè natura che viene all’esistenza. “Tutti gli esseri viventi sono fenomeni diversi di un’unica sostanza universale; traggono dalla stessa radice metafisica, e la loro differenza è quantitativa, non qualitativa.”

“Monaco in riva al mare” di Caspar David Friedrich

Caspar David Friedrich

Caspar David Friedrich (1774-1840) è uno tra i più importanti esponenti dell’arte romantica. L’innovazione dell’artista si realizza in chiave paesaggistica: il pittore intende far evolvere la concezione classica di paesaggio (inteso solo come qualcosa da guardare) aggiungendovi il sentimento del sublime, una riunione con il sé spirituale grazie alla contemplazione delle natura. Nelle opere di Friedrich, infatti, è spesso presente una “Rückenfigur” una persona assorta nella contemplazione del panorama; la funzione di questa figura, è quella di far immedesimare l’osservatore per poter far assimilare a chiunque il potenziale sublime della natura ricolmo di elementi romantici. Dal punto di vista formale l’artista abbandona alcuni argomenti del modello accademico di pittura del paesaggio sostituendoli con: atmosfere idilliache o malinconiche, paesaggi stilizzati e il ricorrente tema del vuoto e dell’infinito.

“Monaco in riva al mare”

Il “monaco in riva al mare” è un dipinto olio su tela realizzato dal pittore Caspar David Friedrich tra il 1808 e il 1810. L’opera rappresenta una spiaggia deserta, sovrastata dal mare che appare spoglio e angoscioso. A contemplare questo paesaggio desolato vi è un monaco, vestito con una lunga tonaca nera, che appare del tutto estraniato dal mondo circostante. L’uomo, che si erge solitario sulla spiaggia, sembra essere oppresso dall’infinitudine del mare, infatti, nonostante il volto della figura non venga rappresentato è possibile cogliere le emozioni provate dal monaco durante la contemplazione di quel paesaggio: angoscia, malinconia, inquietudine e  smarrimento. La tela di Friedrich è una tra le più rappresentative dell’esperienza estetica del sublime e dell’infinito: in questo dipinto l’immensità della natura diviene oggetto del desiderio umano: l’uomo, osservando l’infinita grandezza dell’opera di Dio aspira a raggiungere anch’egli l’infinito, ma l’infinito appartiene solo al creatore, dunque, all’uomo, rimane solo la consapevolezza della propria piccolezza materiale nei confronti di Dio.

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