A pochi giorni dall’inaugurazione dei giochi di Parigi 2024, scopriamo insieme fino a che punto si può parlare di neutralità ideologica in campo.
Mente e corpo: è davvero possibile dividerli? È possibile portare le gambe in pista, lasciando i propri valori e principi a casa? La storia ci insegna che a volte è praticamente impossibile!
In bilico
Una volta Mandela disse “Lo sport ha il potere di cambiare il mondo. Ha il potere di ispirare. Ha il potere di unire le persone”. Parole sagge di una persona che ha fatto del raggiungimento dell’uguaglianza il fine ultimo della sua esistenza. Ma per tutti gli altri comuni mortali sarà davvero così? In un mondo ideale la risposta sarebbe “sì”, ma in un mondo costantemente in bilico sul delicato filo della concordia la situazione è decisamente diversa. Nessuno, però, è davvero pronto ad ammetterlo! Forse perché è difficile accettare la debolezza della mente umana o forse perché piace pensare che un incontro di scherma o una gara di tuffi possa trasformarsi in un soporifero per le nostre avversità. La storia, però, è costellata di episodi che hanno ripetutamente dimostrato come le Olimpiadi siano un palcoscenico dalla potente risonanza mediatica sul quale i conflitti e le necessità degli atleti e delle loro comunità ricoprono ruoli di primaria importanza.
Rivolte in campo
Gambe che corrono per raggiungere un traguardo e menti che volano per ideali e principi. Principi che vengono a volte dimenticati, in favore molto spesso della totalizzante e insaziabile politica locale. Basti pensare a quanto nel 1936 il trionfo di Jessie Owens abbia infastidito il Fuhrer che tanto si era impegnato in quel periodo affinché fosse la sua politica a vincere quattro medaglie d’oro. Un filo non proprio invisibile collega, ben trent’anni più tardi, Jessie Owens alla vicenda Smith-Carlos: al momento della premiazione, infatti, i due velocisti afroamericani abbassarono la testa dinanzi alla bandiera statunitense, sollevando il pugno chiuso. Questo segno di per sé molto semplice nascondeva, in realtà, un ardore notevole la quale potenza ammutolì gli spalti dello Stadio Olimpico di Città del Messico e portò alla squalifica dei due atleti da parte del Comitato Olimpico Internazionale (CIO).
Questione di priorità
A questi piccoli, seppur potenti atti di rivolta, si aggiungono eventi più recenti. Si pensi, ad esempio ai giochi di Montreal del 1976 dove molti Paesi Africani non parteciparono a causa della nazionale neozelandese che era stata in Sud Africa, chiudendo un occhio, se non due, sulla questione “apartheid”. A questo punto non si può non parlare di Fethi Nourine: il judoka algerino che nel 2019 decise di ritirarsi dalle Olimpiadi dopo il casuale abbinamento con un atleta israeliano. Le sue parole, “la causa palestinese è più grande di tutto questo” fanno capire che a volte lo sport possa fare ben poco dinanzi alle grandi guerre ideologiche. Tutto questo fa pensare che sì, i valori della Carta Olimpica sono importanti per il buon svolgimento dei giochi. Tuttavia, a volte è necessario trasgredire le regole se si vuol raggiungere un traguardo umanamente più importante.