E’ veramente possibile avere una memoria di ferro come quella di Sherlock Holmes? In che modo l’ippocampo del cervello consente il processo di apprendimento e il ‘deposito’ delle memorie episodiche?
Sherlock Holmes è certamente uno dei personaggi emblematici della letteratura ottocentesca, un’icona immortale, protagonista di racconti, ma anche di film e serie TV. La sua eccezionale e peculiare memoria, allenata e ben organizzata grazia alla ‘tecnica del palazzo mentale’, trova una giustificazione scientifica grazie all’ippocampo, una delle strutture anatomiche del cervello più studiate.
Chi è Sherlock e perchè è così tanto amato
Completamente preso da sé, capriccioso, incurante degli altri, umorale, ma dotato di un eccezionale spirito deduttivo, Sherlock Holmes è probabilmente il migliore personaggio creato da Arthur Conan Doyle. Non solo Sherlock è una delle figure di maggior spessore tra i grandi classici della letteratura ottocentesca, ma di fatto rappresenta il modello di riferimento dello scienziato-investigatore, il fondatore del metodo scientifico nell’analisi di un crimine. Chiunque abbia letto di Sherlock o visto film e serie tv, tratti dagli stessi racconti di Conan Doyle, riconosce in Sherlock tutti gli stereotipi dello scienziato: solitario, ossessivo, brillante. Sono proprio la genialità e l’estrema acutezza a fare di Sherlock un’icona immortale. Analisi chimiche, microscopiche, rilevamenti di impronte, scienza balistica, analisi della scrittura e dei residui di polvere da sparo servirebbero a poco, se il tutto non fosse legato dalla sua straordinaria capacità deduttiva per cui indizi, anche sparsi, legati tra loro diventano la prova che punta in direzione del colpevole. C’è inoltre una caratteristica peculiare in Sherlock che contribuisce e determina il suo rigore logico con cui arriva alla soluzione dei casi: la sua straordinaria memoria.
La memoria straordinaria di Sherlock
Sherlock scruta ogni dettaglio, riesce a raccogliere tutte le informazioni necessarie e ad elaborarle con una facilità disarmante, attraverso la sua memoria di ferro, una vera fortezza inespugnabile di cui è perfettamente in grado di conoscere ogni angolo. Come viene spiegato dal suo fidatissimo amico e biografo dottor Watson, l’investigatore più conosciuto di tutti i tempi utilizza la tecnica mnemonica del ‘palazzo mentale’. Lontano dall’essere una mera finzione letteraria, questa tecnica ha un fondamento scientifico, e veniva utilizzata fin dall’antichità ad esempio da Cicerone. Probabilmente l’autore più celebre della letteratura latina, Cicerone attraverso la ‘tecnica dei loci’ era in grado di ricordare perfettamente ogni punto delle sue lunghe orazioni.
In che cosa consiste la ‘tecnica del palazzo mentale’ di Sherlock
La ‘tecnica dei loci’ o dei luoghi e la sua evoluzione, la ‘tecnica del palazzo mentale’, sono tecniche mnemoniche estremamente sofisticate che consentono di ricordare in ogni momento ciò che si vuole ricordare con la massima precisione. Attraverso queste tecniche si è in grado di associare tutte le informazioni utili della memoria a breve termine a quella a lungo termine, senza il rischio che parti delle informazioni vengano dimenticate. Il criterio su cui si basano è lo stesso: associare le informazioni da ricordare a luoghi fisici, in genere associati in qualche modo alla sfera emotiva o semplicemente luoghi familiari. Con allenamento, ecco che la strada che si percorre tutti i giorni per tornare a casa, la propria cucina o camera da letto, ogni luogo fisico che si conosce molto bene diventa la sede di tutte le informazioni che si vogliono ricordare. L’associazione di immagini, fatti e ogni tipo di informazione con un oggetto disposto in certo posto nella camera da letto, ad esempio, crea una vera e propria mappa mentale, o palazzo mentale: luoghi, fisici ma anche astratti, nella nostra mente in cui dirigersi per ricordare tutto ciò che si vuole.
L’ippocampo è una struttura del cervello essenziale per la memoria
In profondità del lobo temporale, in ognuno dei due emisferi del cervello, o telencefalo, è situato l’ippocampo, una struttura dalla forma curva e molto convoluta che ispirò ai primi anatomisti l’immagine di un cavalluccio marino. L’ippocampo è un importante nucleo per l’apprendimento, per le memorie episodiche e di conseguenza per la memorizzazione a lungo termine; inoltre è implicato nel sistema della navigazione spaziale. Grazie alle ricerche condotte dai premi Nobel per la medicina e la fisiologia del 2014, John O’ Keefe, dell’University College of London, e per l’altra metà diviso da May-Britt Moser ed Edvard Moser, del Kavli Institute for Systems Neuroscience di Trondheim, in Norvegia, è stata scoperta una popolazione di cellule dell’ippocampo (space cells) in grado di attivarsi in base alla posizione che un corpo assume nello spazio. In aree della corteccia cerebrale prossime all’ippocampo esiste una griglia di neuroni (grid cells) in grado di attivarsi e di spegnersi man mano che ci si muove nello spazio. In ogni punto in cui ci si sposta, si attivano neuroni specializzati (place cells e direction cells) in grado di registrare la percezione del movimento nello spazio. Tutti questi neuroni proiettano nell’ippocampo, a livello del quale si crea una sorta di griglia tridimensionale in grado di registrare i diversi movimenti spaziali.
In che modo l’ippocampo è implicato nei processi della memoria
Se con gli esperimenti di O’Keefe si dimostrò che le cellule di luogo non registrano semplicemente gli input visivi, ma realizzano una vera e propria mappa astratta dell’ambiente in cui ci si muove, un contributo essenziale è stata la scoperta della corteccia sede delle cellule griglia, da parte di May-Britt ed Edvard Moser. Le cellule griglia infatti producono una sorta di sistema di riferimento nello spazio, un vero reticolo, un sistema di posizionamento globale (GPS) naturale, collegato ad altre cellule della corteccia, così da permettere l’orientamento nell’ambiente e il mantenimento di una direzione di movimento. L’ippocampo è implicato nei processi della memoria in quanto sono gli stessi circuiti della navigazione spaziale a mediare la deposizione delle memorie episodiche: ciò che sia apprende, i pensieri e i ricordi sarebbero ordinati spazialmente a livello astratto, in maniera simile a come succede con gli spazi reali. Da ciò consegue che lo stesso pensiero logico è un’astrazione della navigazione spaziale, e una valida, seppur non completa, giustificazione biologica del funzionamento della memoria episodica e della tecnica mnemonica del ‘palazzo mentale’.