Personaggio d’impatto, con uno stile unico, il cantante Achille Lauro ha stupito tutti fin dalla sua prima esibizione sul palco dell’Ariston, dando voce al messaggio dimenticato di San Francesco. E portando sulle scene una pillola di filosofia.
Tra i molti artisti in gara al 70° festival di Sanremo, uno di certo non è passato inosservato: si parla di Achille Lauro, (ex) rapper che dalla scena romana è arrivato sul piccolo schermo, dimostrandosi un artista poliedrico. Abile performer, stile inusuale, musica non convenzionale: il cantante ha provocato e scandalizzato gli italiani, lasciando in particolare le “vecchie” generazioni a bocca aperta. Proprio in questo modo, però, è riuscito nel suo intento: portare l’attenzione di tutti su ciò che ha da dire.
Tra provocazioni e messaggi
Achille Lauro, pseudonimo di Lauro de Marinis, non è mai stato un rapper convenzionale. Fin dagli esordi ha rifiutato gli stereotipi di questo genere, facendosi notare oltre che per la sua abilità di scrittura anche per il suo stile “genderfluid” e le sue innovazioni musicali. Di certo, Achille non è il classico rapper di strada. Fin dalle sue prime produzioni, infatti, dimostra di non focalizzarsi su un solo argomento, ma spazia nell’affrontare questioni molto diverse, e le sue sonorità si discostano da quelle tipiche dell’hip hop. Nonostante abbia in parte subito l’influenza della corrente della trap, esplosa negli ultimi anni e diventata una vera e propria moda musicale, Achille ha uno stile del tutto unico e, soprattutto, mostra una grande differenza rispetto agli esponenti di questo genere. Al centro della sua musica, infatti, c’è sempre un messaggio, qualcosa da spiegare agli ascoltatori. Non si tira indietro quando si tratta di far polemica sociale, affrontando diverse questioni riguardanti l’attualità. Da qualche anno, per esempio, ha deciso di criticare e combattere il maschilismo adottando uno stile che unisce indistintamente capi da uomo e accessori femminili. Nel suo libro autobiografico “Io sono Amleto” scrive: “Sono allergico ai modi maschili, ignoranti con cui sono cresciuto. Allora indossare capi di abbigliamento femminili, oltre che il trucco, la confusione di generi è il mio modo di dissentire e ribadire il mio anarchismo, di rifiutare le convenzioni da cui poi si genera discriminazione e violenza. Sono fatto così mi metto quel che voglio e mi piace: la pelliccia, la pochette, gli occhiali glitterati sono da femmina? Allora sono una femmina. Tutto qui?”. Esprimere se stessi, le proprie opinioni, lanciare messaggi positivi sono gli obiettivi del rapper. La musica, oltre ad essere una passione, ha anche il grande potere di parlarci, di trasmettere concetti, e Achille Lauro ne è consapevole. Tra le sue sfarzose performance e la sperimentazione di nuove sonorità, trova anche lo spazio per dirci qualcosa di molto più profondo.
San Francesco a Sanremo
La serata di apertura del 70° Festival di Sanremo sembrava procedere come suo solito. Tranquilla, niente di inusuale. Almeno finché sul palco non è arrivato Achille Lauro, con la sua canzone “Me ne frego”. Ha percorso la gradinata sfoggiando un mantello nero a motivi floreali, disegnato da Alessandro Michele, direttore creativo nientemeno che di Gucci. Il colpo di scena è arrivato poco dopo, nel bel mezzo della sua performance. Achille si è spogliato del lungo mantello per rimanere “vestito” di una tutina glitterata semitrasparente, lasciando l’Ariston a bocca aperta e scatenando l’indignazione dello spettatore medio. Poco dopo, il cantante ha postato su Instagram una serie di foto: un suo shooting e un dettaglio delle “Storie di San Francesco” di Giotto. E nella didascalia, la spiegazione del suo gesto: “San Francesco. La celebre scena attribuita a Giotto nella basilica superiore di Assisi. Il momento più rivoluzionario della sua storia in cui il Santo si è spogliato dei propri abiti e di ogni bene materiale per votare la sua vita alla religione e alla solidarietà”. Già in precedenza, nelle sue canzoni, il rapper aveva utilizzato dei riferimenti religiosi, ma per la prima volta associa la sua stessa immagine a un personaggio di una grande importanza storico-religiosa come San Francesco. Il suo obiettivo è di rilanciare un messaggio, che risulta attualissimo nell’epoca contemporanea. Mentre molti suoi colleghi inneggiano al materialismo più sfrenato, ostentando l’indifferenza più totale nei confronti di valori che non siano legati al benessere terreno, Achille sceglie di fare esattamente il contrario. E la provocazione fa sì che il concetto venga colto da noi spettatori in modo ancor più efficacie. Achille, pur essendo un personaggio che sicuramente ama apparire e non passa mai inosservato, ci dimostra con la sua performance che questa è solo una parte di ciò che siamo, anzi, è una parte minima. Ci esorta a non concentrarci solo sulla materialità, ad andare oltre, a trovare qualcosa di più profondo, valori a cui appellarsi e questioni per cui battersi. Rinnovando il messaggio di San Francesco, ci spiega inoltre, indirettamente, che il modo più efficacie per scoprire ciò che c’è oltre alle apparenze è rapportarci con gli altri, e comprendere così che, spogliati di tutto, di fatto tra di noi non ci sono differenze.
La rinuncia alla vita estetica
Oltre a rilanciare il messaggio del santo di Assisi, con il suo gesto Achille Lauro ha anche inconsapevolmente portato in scena una parte fondamentale della filosofia di Søren Kierkegaard, teologo danese del XIX secolo. Questi aveva individuato tre modalità esistenziali, che possono essere anche viste come tappe di un percorso di perfezionamento individuale: la vita estetica, la vita etica e la vita religiosa. L’esteta è colui che non crede all’esistenza di alcuna legge morale, si affida solo ai suoi istinti per ricercare qualcosa che lo renda felice. Questa figura ben si addice allo standard dell’uomo moderno, impegnato soprattutto a raggiungere il maggior benessere possibile, ad accumulare beni materiali, nella convinzione che in essi possa trovare il massimo piacere. Kierkegaard, però, esprimendo lo stesso messaggio di Achille Lauro, ci fa notare che la condizione dell’esteta non è mai quella di un uomo realizzato, pienamente felice, anzi: l’ottenimento di un piacere gli dà sì una certa soddisfazione, ma questa svanisce in breve tempo. L’esteta si trova inevitabilmente sempre insoddisfatto, sempre alla ricerca di qualcosa di più, di qualcosa che lo completi, senza mai trovarlo. E la costante insoddisfazione, ci spiega il filosofo, non può portare ad altro che a un sentimento di disperazione, legato alla sensazione di non avere alcuna via d’uscita. La soluzione, per Kierkegaard, è solo una: fare “il salto” verso la vita etica. Rinunciare alla ricerca del massimo piacere, riscoprire ideali, scegliere cosa è bene e cosa è male: questi sono i gesti che portano l’esteta a diventare uomo etico. Ed è in parte ciò che Achille ci ha mostrato sul palco dell’Ariston: rinunciare al puro egoismo non può far altro che migliorare la condizione della persona. L’uomo etico non ha più una focalizzazione totalmente interna, è anche aperto al prossimo. L’esortazione di Kierkegaard e quella di Achille si esprimono in coro: nel rapporto con gli altri, e nella costruzione di una propria morale, l’uomo trova la via per la sua realizzazione, una strada per raggiungere l’effettiva felicità.