La sindrome dell’arto fantasma è dolorosa e semisconosciuta. Alcuni casi clinici sono diventati tra i più strani della scienza, come il paziente studiato da Vilayanur Ramachandran. Gli era stata amputata la gamba, ma quando provava l’orgasmo percepiva di godere dal pene fino al piede fantasma. La “mirror box” fu il primo successo nel curare la sindrome, oggi ci pensa la realtà aumentata.
Braccia e gambe invisibili
All’inizio, venivano considerati come dei pazzi. Erano specialmente soldati, militari a cui erano stati amputati gli arti per impedire che la cancrena si espandesse in tutto il corpo. Eppure, riferivano di continuare a percepire l’arto invisibile. Addirittura dicevano di provare dolore, un dolore lancinante, come se il pugno della mano si stringesse continuamente senza possibilità di rilassare le dita. Venivano considerati come dei pazzi, perchè, di fatto, quelle braccia e quelle gambe non esistevano più, ma i pazienti continuavano, per esempio, a richiamare il cameriere con il braccio fantasma. Gli stessi soggetti a un certo punto iniziavano a convincersi di essere pazzi, essendo immersi in sensazioni spettrali e nel disprezzo generale dei medici.
Vilayanur Ramachandran è il nuovo Ghostbuster
Ramachandran è il neuroscienziato che ha contribuito alla comprensione della sindrome dell’arto fantasma. Senza macchinari futuristici, senza computer da milioni di dollari, ma soltanto con uno specchio. Seguiamo il suo ragionamento.
Primo passo: la regola di Hebb. La regola di Hebb ci dice che se due neuroni si attivano contemporaneamente viene facilitata la comunicazione tra i due. Può essere facilitata così tanto che l’attivazione si fonde. Per esempio, se muovi il dito indice e il medio sempre insieme, con il tempo i neuroni che coordinano i loro movimenti si fonderanno e non sarà più possibile muoverli separatamente.
Secondo passo: l’homunculus corticale. Nella corteccia motoria i neuroni mappano il corpo. I neuroni che codificano i movimenti del viso sono vicini a quelli del collo, quelli della caviglia a quelli del piede. Più è raffinato il movimento più neuroni ci sono: la mano ha il maggior numero di neuroni codificanti.
Il terzo passo: acchiappare l’arto fantasma
Lo scienziato indiano mette insieme le prime due considerazioni e capisce cosa è successo. Una volta che viene amputato un arto, rimangono liberi i neuroni che ne codificavano il movimento. I neuroni vicini, quindi, iniziano a colonizzare le aree circostanti. Il pene, per esempio, è vicino alla gamba. Una volta amputata la gamba, la mappa che gestiva l’arto rimane sgombra e viene occupata dai neuroni che apprezzano le sensazioni del pene. Per questo il paziente di Ramachandran sentiva l’orgasmo fino al piede invisibile. Questa spiegazione dà anche degli indizi neuropsicologici sul feticismo dei piedi.
Uno specchio ha curato la sindrome
Grazie all’attrezzo in fotografia Ramachandran ha portato sollievo ai suoi clienti. Il soggetto inserisce la mano sana in una sezione della scatola. Nell’altra sezione inserisce l’arto amputato (fantasma). In mezzo c’è uno specchio e il soggetto deve guardarlo in modo tale che gli sembri di vedere sia l’arto sano che quello amputato: in realtà quest’ultimo è solo il riflesso. Ma, così facendo, il paziente può iniziare a muovere la mano
vera e vede che anche il fantasma materializzato si muove: così la sola illusione di poter di nuovo gestire il pugno paralizzato consente di liberarsi dal dolore perchè finalmente il paziente riesce ad aprire la mano. Anche se è solo un’illusione non importa: funziona, e il dolore scompare. Si sfrutta dunque la regola di Hebb, ma al contrario: più si cerca di disconnettere il movimento, più si indebolisce la connnessione tra i neuroni.
La realtà aumentata e i Ghostbusters 2.0
Un nuovo studio pubblicato su Frontiers in Neuropsychology da parte di Max Ortiz Catalan fa evolvere lo stesso concetto della scatola con lo specchio. Utilizza infatti la realtà aumentata e il machine learning, rendendo ancora più realistica l’illusione di avere nuovamente l’arto, necessaria per poi liberarsi per sempre dall’agonia. I segnali elettrici emessi dai neuroni del paziente vengono rilevati dagli elettrodi e vengono convertiti, tramite algoritmi di apprendimento automatico per il computer (il machine learning), in immagini da proiettare su uno schermo, estremamente realistiche e che riproducono esattamente quello che sta avvenendo nel cervello, curando così l’arto fantasma.
Mattia Grava