Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Questa la formula normalmente pronunciata prima di una preghiera cristiana. E, proprio come si conviene in questi casi, siamo qui riuniti nella lettura di questa omelia per comprendere il reale valore psicologico e neurologico della prassi religiosa, ma anche di credenze minori come la scaramanzia, di ben altra specie, e l’oroscopo, di cui ho già parlato in un precedente sermone.
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L’ottimismo
Siamo ormai alle porte del nuovo anno. E, come ogni Capodanno che si rispetti, tendiamo a imbottirci di buoni propositi che puntualmente non soddisfiamo, procrastinandoli copiosamente. “C’è più sforzo nel mantenere i propositi che nel farsene di onesti” diceva Seneca nella sedicesima epistola a Lucilio, sentenziando che è “necessario perseverare e aumentare la forza d’animo con assiduo impegno, fino al momento in cui il buon pensiero diventi buona volontà“. Il drammaturgo e politico romano suggerisce, pertanto, di impegnarsi a concretizzare i propositi finché non risulterà automatico rispettarli. Insomma, Seneca professa a Lucilio una continuità costante tra pensiero e atto: l’intenzione diviene volontà, che si traduce in azione.
Il meccanismo dei buoni propositi è legato all’ottimismo che tutto ciò che è nuovo, come si spera questo 2018, porta con sé, in un vento di rinnovamento che ci consentirà di ricominciare dai nostri errori per poterli, eventualmente, nullificare. Ed è stupefacente scoprire che alcuni ricercatori, che hanno analizzato in tal senso la relazione tra mente e corpo, rivelano come l’ottimismo giovi alla condizione fisica, migliorando in particolare la salute cardiovascolare. Il campione studiato, d’età matura e avanzata, è stato valutato in base a pressione sanguigna, indice di massa corporea, livelli di glicemia e colesterolo, tipo di alimentazione, quantità di attività fisica svolta e vizio del fumo, secondo i parametri dell’American Heart Association, e vantava livelli più bassi di glicemia e colesterolo, oltre a comportamenti più sani.
La superstizione
Ma è scientificamente provato che non solo l’ottimismo incrementa il benessere psicofisico dell’individuo, bensì anche la scaramanzia. Nel 1942 Peppino De Filippo scriveva una commedia in tre atti, poi adattata cinematograficamente da Sergio Grieco (un cognome, una garanzia) dieci anni dopo, chiamata ‘Non è vero… ma ci credo’, incentrata sugli effetti delle superstizioni nella quotidianità di una persona comune, il commendatore Gervasio Savastano, la cui principale preoccupazione è l’interpretazione dei presagi, da cui dipende la sua condotta; ed è proprio a quell’opera che si rifà il titolo di quest’articolo.
Secondo l’etologo Danilo Mainardi, “credere nell’irrazionale è un vantaggio per la sopravvivenza della specie ed un modo efficiente per affrontare meglio la vita“. Fortuna e sfortuna, su cui si basano le superstizioni, sono concetti di matrice magica e popolare, spiegabili tuttavia con il determinismo scientifico: il condizionamento psicologico consente all’inconscio di canalizzare la volontà e agire inconsapevolmente in direzione opposta o favorevole alla suggestione che abbiamo accolto, inducendoci a compiere microscelte e microazioni consequenziali che condurranno, secondo la nostra volontà e in modo più o meno preciso, all’obbiettivo previsto: se si agisce nella convinzione che la sorte giocherà a nostro svantaggio, in qualche modo la negatività si impossesserà del nostro stato mentale, implicando un evento ‘sfortunato’. Viceversa se si pensa ottimisticamente.
È il principio alla base del funzionamento effettivo dei talismani: un amuleto dal potere positivo che porterà fortuna si volgarizza razionalmente in un oggetto caricato dalla nostra volontà di un forte potere simbolico che, dandoci una sicurezza che nasce e muore nella sola psiche, ci darà tranquillità e garanzie tutte ben radicate nei nostri paradigmi mentali. Nel momento in cui un oggetto che dovrebbe portare la sorte dalla nostra parte, agganciandosi alla fortuna, è insieme a noi, si innesca il processo mentale alla base della fiducia nella superstizione, che rintraccia semplici esiti causali per dare un senso al mondo; è in tale circostanza che tendiamo a usare l’attenzione selettiva: ricordiamo solo le volte in cui funziona e scartiamo quelle in cui il legame tra pensiero superstizioso ed esito ha fallito, il che rafforza e conferma la veridicità del meccanismo stesso.
“La linea di demarcazione è se si dà un qualche tipo di significato magico al rito” dice Stuart Vyse, PhD, autore di ‘Credere nella magia: La psicologia della superstizione’. La ripetizione sistematica e puntuale di un comportamento può essere sintomo di disturbo ossessivo-compulsivo, se il rituale compulsivo è impellente e imprescindibile, e può interferire pesantemente con la vita quotidiana. Mentre alcuni sintomi del DOC possono emulare il comportamento scaramantico (e le due cose non si escludono a vicenda), Vyse dice che la maggior parte delle prove indicherebbe che non vi è connessione tra i due.
Cercare un maggiore controllo e un senso di sicurezza e fiducia è la forza trainante dietro la maggior parte delle superstizioni. Sentirsi supportati sul piano inconscio dà più forza, ma affidarsi eccessivamente alla fortuna può diminuire il senso di responsabilità. La certezza di avere la fortuna dalla nostra parte ci consente di investire molta energia nelle attività quotidiane e ci galvanizza, mentre la malasorte ci fa assumere un atteggiamento fatalista e depotenziante. Alcuni studi, peraltro, hanno messo in relazione l’incremento di comportamenti superstiziosi con l’aumento dell’incertezza sociale, politica ed economica, ribadendo che il senso d’insicurezza è uno dei primi moventi della pratica scaramantica.
È molto importante avere una struttura psichica elastica che ci permetta di sconfinare nell’irrazionale, nell’auto-suggestione e nell’attivazione delle risorse inconsce necessarie. Sempre secondo Vyse, inoltre, i giovani sono più superstiziosi degli anziani e le donne più degli uomini, siccome “le donne sentono, anche nella società moderna di oggi, di avere meno controllo sul loro destino rispetto agli uomini.”
In sostanza, una ritualità a cui noi attribuiamo un personale significato produrrà effetti benefici reali, grazie al solo sforzo psichico inconsapevole: “le superstizioni forniscono alle persone il senso che hanno fatto una cosa ancora per cercare di garantire il risultato che stanno cercando” nota il dottor Foxman, che si è occupato del fenomeno. Tuttavia, un’eccessiva credenza nella superstizione può abbracciare sentimenti di bassa autostima e scarsa efficacia, specie se troppo spesso la causa dei propri successi è attribuita a fattori esterni e non al proprio operato.
Una ricerca svolta in Gran Bretagna sulla base di un sondaggio in cui i partecipanti dovevano dichiararsi fortunati o sfortunati, ha mostrato che le persone che si ritengono fortunate nella vita sono molto più inclini a sfidare la sorte, mentre il posizionamento personale del locus of control determina gli esiti del comportamento scaramantico: se esso è interno, si tende a credere di essere personalmente responsabili degli eventi presi in esame (homo faber fortunae suae, come affermava Appio Claudio Cieco in epoca latina e Pico della Mirandola nell’umanesimo); se il luogo di controllo è esterno, si tende a sottolineare come gli accadimenti influenzino la propria vita, percependosi in balia della loro imprevedibilità. “Le persone con locus of control esterno hanno maggiori probabilità di essere superstiziose, forse nell’illusione di ottenere più potere sulle loro vite se il destino gli arride.”
La preghiera
E, come se non fosse abbastanza, anche le preghiere, secondo recentissimi studi medici, porterebbero numerosi benefici, perlopiù di natura psicosomatica. Il professor Herbert Benson, fondatore del Benson-Henry Institute for Mind Body Medicine al Massachusetts General Hospital di Boston, si dedica da quarant’anni a verificare la bontà medica della preghiera ripetitiva sul corpo umano e i suoi studi, come si legge nell’articolo ‘Prayer therapy, è scientifico: pregare fa guarire’, de ‘La Stampa’, sono “confermati da ricerche moderne internazionali” e dichiarano che “la preghiera e la meditazione riescono a modificare il profilo genico e a depotenziare le sequenze cellulari pericolose per la salute.”
Ma studi analoghi sono poi stati svolti in tutto il mondo. Una ricerca condotta in Israele, ad esempio, dall’Università di Tel Aviv sulla popolazione maschile degli insediamenti israeliani, ha accertato le proprietà benefiche della preghiera nei confronti della pressione arteriosa e dell’apparato cardiovascolare: pregare parrebbe avere un effetto benefico sulla regolazione del sistema nervoso autonomo, mentre che la preghiera meditativa è in grado di produrre un benessere psichico e spirituale più efficace nella popolazione più anziana, favorendo un abbassamento della pressione arteriosa e vincendo ansia e nervosismo.
Ma il potere curativo della preghiera è rilevante anche nella lotta ai tumori, in cui è indubbiamente fondamentale, per il paziente, un atteggiamento sereno e ottimista. A tal proposito, un’équipe di ricercatori statunitensi della University of Winsconsin-Madison Center of Excellence in Cancer ha condotto uno studio su 97 donne americane affette da cancro alla mammella, dimostrando che la fede funziona anche riunendosi in gruppi di preghiera online, come solevano fare le malate prese in considerazione. Gli studiosi, intervistandole prima e dopo il trattamento, hanno osservato che all’aumentare delle parole di carattere religioso diminuiva il livello di emozioni negative e incrementavano benessere e ottimismo. Come ha dichiarato il ricercatore capo Brett Shaw, “da un punto di vista psicologico, ci sono numerosi motivi per cui i malati di cancro possono trarre beneficio dalla preghiera, sia nella sua forma tradizionale che su Internet. Analizzando il contenuto dei loro messaggi, si può dedurre come questi pazienti usino la preghiera per fare fronte alla loro malattia, finiscano per essere meno spaventati dalla morte e riescano, grazie alla fede, a vedere la loro situazione in una chiave più costruttiva.”
Per quanto riguarda l’Italia, invece, l’Università di Pavia ha dato risultati promettenti: un pool di esperti ha registrato la frequenza respiratoria di 23 soggetti adulti sani durante una normale conversazione, per sei minuti di respirazione e mentre recitavano il rosario: in quest’ultimo caso la frequenza si è rivelata più regolare, consolidando le ricerche israeliane sul rapporto tra preghiera e cuore. Più precisamente, pare che recitare il rosario abbassi il ritmo respiratorio per migliorare l’attività cardiaca e ottenere una migliore ossigenazione del sangue con conseguente diminuzione della pressione arteriosa. Lo studio in questione è stato pubblicato sul ‘British Medical Journal’, mentre, il centro di riabilitazione dell’Ospedale San Raffaele Pisana di Roma ha provato che una grande spiritualità riduce lo stress emotivo legato alle difficoltà di un ricovero post-ictus, in base a uno studio condotto su 132 pazienti mediamente 72enni.
Ma non è tutto: dato che Papa Francesco ha di recente dichiarato, riferendosi al Signore, che “a Lui piace, quando tu ti arrabbi e gli dici in faccia quello che senti, perché è Padre!” e che, nonostante il secondo comandamento, anche arrabbiarsi con Dio è preghiera, anche la bestemmia può portare un certo grado di giovamento fisico.
La bestemmia
Una ricerca della Keele University, pubblicata sull”Indipendent’, rivela infatti un legame diretto tra l’imprecazione, soprattutto divina, e la riduzione del dolore: nell’esperimento alcuni studenti erano tenuti a mantenere un cubetto di ghiaccio in mano dicendo prima una frase non offensiva e poi una bestemmia. Il risultato? Quando imprecavano, i giovani riuscivano a reggere più a lungo il cubetto, dimostrando un legame tra analgesia e insulti.
“Per secoli” spiega Richard Stephens, uno dei ricercatori “si è pensato che bestemmie e imprecazioni fossero un fenomeno linguistico umano quasi universale. Invece quest’azione si inserisce nei centri emotivi del cervello e si presenta nell’area destra del cervello, mentre il linguaggio è nell’emisfero sinistro“. L’esperimento ha registrato inoltre un tasso dei battiti cardiaci accelerato, che denoterebbe una maggiore aggressività, mentre la tolleranza al dolore sarebbe dovuta allo scatenamento della risposta ‘combatti o combatti’ al posto della più frequente ‘combatti o fuggi’. Non è specificato, invece, se differenti religioni producano diversi effetti.
Tornando al nucleo tematico inerente gli effetti benefici psico-fisiologici di preghiere e superstizioni, un ultimo ruolo spetta al celebre effetto placebo, un concetto medico preso in prestito dalla psicologia. Per effetto del condizionamento, convincere qualcuno anche di una falsità, in base al placebo psicologico, renderà vera tale falsità per il soggetto, che agirà percependola come reale e non fittizia; in gergo più filosofico, se qualcosa è reale per l’individuo, sarà effettiva nel suo universo soggettivo. Chimicamente parlando, invece, l’attesa di un miglioramento causa il rilascio di sostanze terapeutiche nell’organismo, come le endorfine, l’adenosina (che è un antidolorifico), l’adrenalina (che gestisce lo stress) e la dopamina (che favorisce rilassamento e piacere).
Il summenzionato dottor Foxman evidenzia il peso dell’effetto placebo positivo: “C’è un’enorme quantità di energia nella fede“, anche perché le aspettative sono potenti e suggestive. Ma per quanto riguarda il fattore scaramantico, oltre ai notevoli benefici che, insieme alla preghiera, fornisce al corpo umano, interviene anche una variabile ideologica e culturale: sono del parere che, se credere in qualcosa che potrebbe non esistere ti rende felice, è giusto, anzi necessario, che tu ci creda, per un tuo personale benessere. Anche se si trattasse di qualcosa di assurdo o di fortemente improbabile. Direi che è stupido fomentare o promuovere credenze vecchie e sciocche in un periodo storico in cui sembrano non servire più; ma forse è meglio avere una illusoria certezza piuttosto che un irrisolvibile dubbio.
Amen.
Simone Conversano