Carmelo Bene lanciò un messaggio incomprensibile, tha Supreme lo raccoglie e lo legge così

Se il linguaggio, in tutte le sue forme, è lo strumento dell’arte, qual è lo strumento del linguaggio? Senza mezzi termini Bene risponde: phoné. Tha supreme coglie il messaggio.

Chi è tha Supreme: tutte le cose di sapere sul rapper

Considerato uno tra i più grandi intellettuali del secolo scorso, Carmelo Bene ci lasciò un’eredità senza dubbio rivoluzionaria, che si espresse in particolar modo nel teatro, ma che tocca l’arte in senso lato. Parliamo di un idea di comunicazione totalmente rovesciata rispetto a quella dei grandi attori di interpretazione a lui contemporanei, uno su tutti Vittorio Gassman (con cui tra l’altro lo stesso Bene ebbe uno scontro divenuto storico proprio in merito al linguaggio teatrale). La phoné, intesa proprio come suono della voce, diventa la condizione di possibilità del parlare e del farsi comprendere, rivendicando così la sua totale supremazia rispetto alle parole di senso, che un senso da sole non ce l’hanno. Nel nostro panorama musicale, oggi, emerge una figura incredibilmente interessante, che con lo stesso gioco di insensatezza della parola ha finalmente restituito alla canzone italiana una consapevolezza internazionale.

La musica italiana ha bisogno di phoné

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È bene partire da un presupposto, che l’italiano come lingua ha un problema con la musica. Ve la immaginate Bohemian Rhapsody cantata in tedesco? Io personalmente faccio fatica. In italiano accade più o meno la stessa cosa, una traduzione letterale di quella canzone, pur rispettandone la metrica, non avrebbe certo la stessa musicalità. La differenza ovviamente la fa il suono delle parole che vengono scelte, oltre che il suo significato. Tutto ciò i grandi autori dello stivale lo hanno sempre saputo molto bene, e hanno trovato nel tempo soluzioni sempre diverse a questo problema. Un esempio è Francesco De Gregori, che fa scivolare il testo della canzone anche fuori dalla metrica, ottenendo un proprio tratto stilistico distintivo e utilizzando una lingua musicalmente spigolosa in maniera particolare ed effettivamente di impatto. Un utilizzo linguistico totalmente opposto e ugualmente interessante lo si trova nella figura di Giulio Mogol, considerato il paroliere più importante della nostra musica. Nel suo caso il testo viene lavorato proprio sul suono della parola, nell’uso di allitterazioni. È frequente, ad esempio, la scelta da parte di Mogol di avverbi di modo per terminare il verso, sfruttando la desinenza -mente, esaltandone il suono liquido della -n che incontra quello dentale della -t. Questa è la phoné, e non ci sono dubbi che la nostra musica ne trae una vera e propria linfa vitale. Ma oggi?

Tha Supreme oltrepassa i confini nazionali

Dopo anni di nazionalismo musicale, ecco finalmente qualcosa di fresco, tha Supreme. Premessa per chi come me vive ancora nel secolo scorso e ha la playlist di Spotify che si intitola “solo rock anni 70 perché sono alternativo”: separiamo un momento il gusto personale dal valore dell’artista. Una volta essersi messi al riparo dal pregiudizio, si possono prendere il cellulare e gli auricolari e ascoltare un brano come sw1n60. Cosa avete capito? Quale messaggio cerca di mandarci l’artista? Cosa vuole dirci? La risposta è: assolutamente niente. Il punto è che non c’é significato, ma la canzone arriva perfettamente all’ascoltatore. Tutto questo funziona perché il testo non deve avere un senso, non deve nemmeno avere un contenuto, deve semplicemente passare insieme a tutto il resto della canzone, e la voce è uno strumento, che fa parte della base. Si tratta più o meno della stessa cosa che accade nell’opera, in cui il testo ha lo stesso identico ruolo, tanto che a teatro ci danno il libretto per poter seguire le parole degli attori. È la stessa cosa, ma più fresca e più immediata. È phoné. Il risultato? Non serve sapere l’italiano per capire tha Supreme. Questo è il suo respiro internazionale.

Carmelo Bene ha ricostruito la comunicazione

Quando Socrate parlava, voi credete davvero che riuscisse a convincere l’interlocutore a furia di concetti? O forse per come li portava? […] Si è sempre basato sulla phoné. Io penso che sia stata davvero la voce. […] Non esiste niente oltre il dire.

Così parlò Carmelo Bene in occasione di una conferenza con Eduardo De Filippo. La sua portata intellettuale non solo distrusse la supremazia della parola, ma costruì una nuova supremazia, stavolta della voce. Con una grande ermeneutica, tra l’altro, fornì una spiegazione incredibilmente interessante su quella che fu l’oralità nella cultura greca antica, ricavandone un principio della comunicazione che forse ha sempre fatto parte di noi, senza che mai ce ne accorgessimo. Fece di questo principio la colonna portante dei propri lavori teatrali, come il Macbeth, che porta la voce alle proprie estreme conseguenze. E se arriviamo fino ad oggi, fino a questo nuovo artista che è tha Supreme, e notiamo come un linguaggio del tutto sonoro può oltrepassare i confini nazionali e culturali facendosi strumento per la musica e per l’arte in generale, allora forse è questo che siamo, siamo voce. Siamo phoné.

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