Caso Cecilia Sala: la libertà d’informazione è violata nella Repubblica islamica

E’ una reporter italiana l’ultima vittima della repressione politica del regime teocratico di Teheran.

Il caso Cecilia Sala cosa sappiamo finora. Tajani: "Auspico tempi brevi ma  non dipende da noi"

Diplomazia al lavoro mentre l’opinione pubblica si schiera in difesa della firma del Foglio detenuta nel carcere degli oppositori e intellettuali.

La vicenda

In una cella di isolamento da ormai undici giorni, la giornalista di Chora Media e del Foglio Cecilia Sala si trovava in Iran con un regolare visto giornalistico per svolgere il suo lavoro di reporter quando è stata prelevata dalle autorità iraniane e portata nel carcere di Evin, a nord di Teheran. La notizia è giunta ai media dopo l’allerta lanciata all’Unità di Crisi della Farnesina dai colleghi giornalisti, notando che il telefono della reporter risultava muto da qualche ora. Tenuta sotto stretto controllo dai carcerieri, a Cecilia Sala è stato permesso di fare solo due chiamate ai familiari e di ricevere generi di prima necessità dall’ambasciatrice italiana a Teheran Paola Amedei, per ora unica testimone oculare della vicenda che sta suscitando l’indignazione del mondo politico, del web e di tutte le ONG per i diritti umani.

Uno degli ultimi video di Cecilia Sala dall'Iran prima dell'arresto: «Le  donne non hanno più paura di indossare il velo in modo diverso da come  prescrive la legge» | Corriere TV

Gli arresti paralleli e il video senza velo

A rendere la situazione ancora più allarmante contribuisce la poca chiarezza del regime iraniano nell’esplicitare i capi d’accusa, rendendo quello subito dalla giornalista un arresto arbitrario. Sono state avanzate diverse ipotesi sulle possibili cause che hanno potuto rendere Cecilia Sala un bersaglio per le autorità iraniane. 

Una prima motivazione proviene dagli Stati Uniti che stanno seguendo il caso e ribadiscono che una prassi degli ayatollah è detenere cittadini stranieri come leva politica per gli altri Paesi, mettendo in atto una “diplomazia degli ostaggi”. Sembrerebbe che l’arresto possa essere parallelamente collegato al fermo del cittadino svizzero-iraniano Mohammad Abedini Najafabadi, avvenuto le scorso 16 dicembre a Malpensa in seguito a un mandato di cattura internazionale per terrorismo dalla Corte federale di Boston e che ora si trova in Italia in attesa della richiesta di estradizione. 

Ma prima di essere portata a Evin, Cecilia Sala stava conducendo interviste per il suo podcast “Stories”, riguardante la vita delle donne e il patriarcato in Iran. Nell’ultimo video pubblicato sui social appare senza velo come tante altre donne che dice di incontrare a Teheran, cosa ritenuta in realtà “fuori legge” secondo la Sharia. Inoltre una delle sue ultime puntate conteneva un’intervista alla comica iraniana Zeinab Musavi, arrestata qualche giorno prima della giornalista per gli sketch di uno dei suoi personaggi.

Libertà negata

La libertà di informazione e comunicazione è la prima vittima dei regimi teocratici.

Considerato uno dei più grandi carcerieri di stampa del mondo dal “Reporters sans frontières“, l’Iran degli ayatollah conta 181 giornalisti rinviati a giudizio solo nell’anno corrente e altrettanti imprigionati nel carcere di Evin, soprannominato “l’Università” per l’elevato numero di oppositori politici, intellettuali e giornalisti rinchiusi in condizioni spesso invivibili, ma che continuano a lottare per la libertà di informazione negata a tutti gli iraniani. 

Discrezione e riservatezza sono in realtà auspicate anche dal Presidente del Consiglio Giorgia Meloni e dal Ministro degli Esteri Antonio Tajani, chiedendo cautela ai media italiani per lasciare lavorare la diplomazia. Ma alla luce di quella che sembra una violazione del principio sancito dall’ articolo 21 sulla libertà di manifestare il proprio pensiero con ogni mezzo di informazione, la pressione dell’opinione pubblica internazionale ha contribuito a creare un’ondata di solidarietà verso la vicenda di Cecilia Sala attraverso l’hashtag #freececilia usato in numerosi articoli e il sit-in a Torino organizzato da Igor Boni di Europa Radicale chiedendo al governo italiano di fare tutto il possibile, ma senza rimanere in silenzio.

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