Combattere la sfortuna: dagli amuleti di Pompei alle lezioni di Dumas, Guatier e Pirandello

Non incolpate voi stessi per quello che vi è andato storto oggi: sono l’uocchie. Armatevi di cornicelli, ferri di cavallo, quadrifogli e sarete al sicuro dal male. Non siate scettici: è dai tempi di Roma che si fa così.

L’ultimo tesoro di Pompei

Pompei, come ben sappiamo, non smette mai di stupire. Proprio ora ci ha donato l’ennesima meraviglia: una cassetta di legno contenente decine di amuleti. Sono in bronzo, ambra, osso e hanno le forme più disparate, a partire da un teschio, uno scarabeo, un pugno chiuso e un piccolo fallo.

Il direttore generale del Parco archeologico di Pompei, Massimo Osanna, ha affermato che il contenuto probabilmente apparteneva ad una delle dieci vittime della Casa del Giardino. È una scoperta sbalorditiva perché, come egli spiega “sono oggetti della vita quotidiana, in particolare del mondo femminile, e sono straordinari perché raccontano microstorie, biografie degli abitanti della città che tentarono di sfuggire all’eruzione” pertanto gli amuleti sono ora in corso di studio per comprenderne meglio significato e funzione specifica.

Gli amuleti ritrovati

La cultura dell’apotropaico: dagli albori al giorno d’oggi

Fa un po’ ridere detta così: una donna che corre per sfuggire alla morte e cosa mette in salvo? Tanti piccoli oggettini privi di valore, ma che sono ritenuti essere apotropaici. Eppure non c’è tanto da stupirsi: lo facciamo ancora oggi anche noi. Quante volte ad un esame non avete indossato un particolare braccialetto, bevuto o mangiato un qualcosa di specifico, affinché andasse tutto bene? Quante volte, a qualche commento, avete accennato un paio di corna, incrociato le dita, sfiorato con i polpastrelli il ciondolo che portate sempre al collo o il piccolo portachiavi a ferro di cavallo che avete in tasca?

I piccoli rituali quotidiani dell’età moderna non sono poi così diversi da quelli della sciagurata che correva per le strade di Pompei. Il tema del fascinum (il malocchio per i Romani) era universalmente diffuso, ma ha radici salde già nell’Antico Testamento. Eppure, c’è un momento preciso in cui la superstizione si insidia prepotentemente in Italia, in particolare a Napoli, e come sempre i partenopei ci narrano una storia sulla precisa nascita di quella che prende nome di jettatura.

Siamo agli albori del 1800, più precisamente nel 1825, agli inizi di gennaio. Ci troviamo alla corte del re che ebbe il più lungo regno nella storia italiana degli Stati Preunitari Italiani e il nono regno più lungo di sempre: Ferdinando IV, noto anche come Ferdinando I delle Due Sicilie.

Giunge alla sua corte un uomo dotto, uno dei tanti intellettuali di allora, l’etnografo e archeologo Andrea De Jorio, che godeva di una grande fama in tutta Europa grazie alla sua opera “La mimica degli antichi”, dove viene dimostrato che la gestualità napoletana è diretta discendente di quella degli antichi Greci. È proprio grazie a quest’opera che De Jorio si conquista la fama del più temibile jettatore di sempre. Queste voci preoccuparono il re, che inizialmente negò l’udienza al pover’uomo, il quale però non gettò la spugna: avrebbe incontrato il re il 4 Gennaio. Quel 4 Gennaio il re morì.

Tavoletta tratta da “La mimica degli antichi” dell’edizione del 1832

Da allora l’uocchie, cioè la capacità o potere dello sguardo umano di procurare intenzionalmente danni e mali alla persona osservata, sono l’unico male dal quale bisogna difendersi. La creatività e l’inventiva sono qualità tipiche dei napoletani, che hanno un accuratissimo armamentario per combattere il malocchio: ferri di cavallo, cornicelli, gesti apotropaici con l’olio, accarezzare la gobba di un uomo. Piccole attenzioni per difendersi dal maledetto, dal terribile jettatore.

La vera star della letteratura: lo jettatore

La sua figura è una celebrità in letteratura: offre così tanti spunti diversi che sarebbe da stolti non provare nemmeno ad inserirlo in qualche racconto. Non a caso una delle più belle descrizioni dello jettatore ce la offre Alexandre Dumas, ne “Il conte di Mazzara” scrivendo che:

Di solito magro e pallido, ha il naso ricurvo e occhi grandi come quelli di un rospo (…) se incontrate una persona come quella che ho descritto, guardatevene: quasi sicuramente si tratta di uno jettatore. Se costui vi ha scorto per primo, il male è fatto e non c’è rimedio.

Altro letterato che si è dilettato a parlare di malocchio e superstizioni è l’esteta francese Théophile Gautier (forse i più preparati tra voi lo ricordano perché è a lui che Baudelaire dedica “I fiori del male”) che in “Jettatura”, ci accompagna in un affascinante viaggio nella ottocentesca Napoli popolare, fatta di folclore, tradizioni, musiche ma anche di arcaiche credenze e superstizioni. Con la sua gustosa prosa, l’autore lascia ben poco al lavoro di immaginazione del lettore, ma anzi si mette al suo pieno servizio. Gautier ci porta in questo affascinante mondo dove, tra folklore, credenze, sfide e passioni, si sviluppa la difficile storia d’amore di una coppia inglese.

Persino Pirandello si diletta e ci diletta con le avventure di uno jettatore. È nel 1917 con il titolo “‘A patenti” che ci narra la storia di un disgraziato, la cui opinione popolare lo ha trasformato nel menagramo per eccellenza e la cui vita è ridotta alla miseria. Propone così che gli venga data una patente, per poter praticare ufficialmente il mestiere di jettatore, e far sì che venga pagato da chi non vuole essere colpito dalla sfortuna.

Totò come Rosario Chiàrchiaro nell’episodio “La patente” del film “Questa è la vita”

Da dove nasce la superstizione

Ma perché ci crediamo? Sappiamo tutti che queste azioni non hanno un vero e proprio effetto, ma sono solo palliativi della nostra psiche. Sta tutto nel sofisma latino post hoc ergo propter hoc (dopo ciò a causa di ciò) il quale si fonda su una correlazione impropria tra più fatti, così come avviene nella maggioranza delle superstizioni e dei comportamenti irrazionali. Lo spazio che la nostra mente dedica all’irrazionale ha la funzione, entro certi limiti, di permettere all’uomo di affrontare la “caducità delle cose umane” contro la quale la razionalità spesso si dimostra poco efficace. Goethe ci ha detto “la superstizione è la poesia della vita” e d’altronde senza un po’ di poesia che razza di vita sarebbe la nostra?

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