Dai Nu Genea a Serena Brancale: quando la rivoluzione del sud parte dalla musica (e dai dialetti)

Da Napoli a Bari passando per la Sicilia e la Calabria: il Sud Italia cambia musica.

Restituire un nuovo volto alle città del Meridione. Un traguardo che nulla ha a che vedere con la politica, perché si parte dalle melodie della musica contemporanea che abbraccia quelle calde sonorità che ci trasportano in riva al mare.

IL CASO SERENA BRANCALE

Tre donne danzare davanti al Teatro Margherita di Bari. Una di queste è Serena brancale che, lo scorso inverno, è diventata celebre con la sua hit ‘social’ Baccalà. In brevissimo tempo il reel del brano carivato su Instagram ha raccolto milioni di followers che hanno trasformato la Brancale in un vero e proprio fenomeno. La stessa artista barese si è commossa nel sapere che anche bambini e stranieri cantano la sua canzone. Perché sorpresa? Perché non sanno le parole del testo e credono che il brano sia persino in portoghese. In realtà il pezzo è cantato in un dialetto barese strettissimo:

“Pinz a tutt’ l mgghier
Stonn a cosc’ u baccalà
Cazz è cald mezz’ aller
Vid mò comammafà, fà, fà fà, fà, fà
Voggh’ ste dà, dà, dà, dà, dà, dà”

E non sono mancati nemmeno gli insulti baresi più celebri:

“Hey, vaffammokk a l corn ca tin
D kidd stramurt, d kedda ‘mbrattat
D kedda ‘mbrattat
D kedda ‘mbrattat
D kedda ‘mbrattat
D kedda
 

L’onda del successo la sta portando ad esibirsi in tutta Italia dove sta portando anche il suo nuovo brano Stu Cafè:

“Mo pigliate stu cafè

Ghe nu capolavoro

Se sient Napule”

A proposito di Napoli, ora ci spostiamo nel capoluogo campano per parlare di un famoso duo.

IL CASO NU GENEA

Dal lungomare di Bari ora passiamo a quello di Napoli, una delle tante scenografie utilizzate dai Nu Genea per i loro video musicali. Il duo, composto da Massimo Di Lena e Lucio Aquilina, musicisti nativi di Napoli residenti a Berlino, è diventato famoso due anni fa con la loro hit estiva Tienatè. Cosa accomuna i Nu Genea alla Brancale. Anche i loro tesi sono scritti in dialetto. In questo caso, quello napoletano:

“Pur’aje’ Pur’aje’Pur’aje’
Pur’aje’ Pur’aje’Pur’aje’
Pur’ajere ricive dimmane
Ma dimmane dimmane è passato
È passato ma mo t’è scurdàto
T’è scurdàto pure n’ata vota
L’ata vota ‘nte fatto vere’
N’ata vota ‘nte fatto truva’
N’ata vota ‘nte fatto vere’
Ma dimmane però me l’ea dà”
 

Oltre al dialetto nei loro tesi non mancano luoghi simbolo della capitale campana, come il borgo di Marechiaro nel quartiere Posillipo:

“Sto venenno, ce verimmo llà
A Mmarechiaro, nun te faie truvà”

IL RAPPORTO TRA I DIALETTI E L’IDENTITÀ CULTURALE

Un matrimonio perfetto che vede i fonemi dei dialetti napoletani e pugliesi intrecciare per creare una musica capace di portarci in luoghi lontani. Da un lato i pescatori baresi, dall’altro i residenti farsi un bagno a Posillipo. Sembra quasi essere una trovata turistica ma di turistico c’è ben poco. L’identità di una regione non si basa soltanto sugli usi e i costumi, ma anche in quelle parole che raccontano la storia di quella regione. Il passaggio degli arabi a Bari e l’influenza dello spagnolo nel napoletano sono soltanto alcuni degli esempi che potremmo fare. I video realizzati per il lancio dei singoli fanno lo stesso, per far rivivere il folklore anche attraverso simboliche immagini. Non ci resta che ascoltare quanto questi artisti hanno da dire immaginando magari che, almeno loro, ci portino in vacanza.

 

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