Dal Vangelo secondo Charlie Brown: come Schulz ha predicato la Buona Novella

Nell’elegante quartiere di Maplewood, zona nord di Saint Paul, Minnesota, si trova il lago Phalen. È anche acqua del Mississipi, quella. Poi fango, moscerini, sabbia. È il 1948 e un giovanissimo Charles Monroe Schulz, reduce della Seconda Guerra Mondiale, orfano di madre, si immerge in quelle acque melmose per riemergere, dopo i riti di abluzione, membro dell’iperattiva comunità locale della “Church of God”. Charles, o Sparky come lo chiamava lo zio, diventa convinto frequentatore dell’Eucarestia e pugnace strillone della fede appena incontrata. Con il personale esempio, con i propri limitati fondi, con l’energia di chi ha trovato (o almeno crede) il proprio posto del mondo, diffonde, predica, difende. La fede incendiaria è destinata a scontrarsi con il muro della società americana in veloce mutazione, sorda, insensibile: ne rimarranno le ferite e i segni di una momentanea sconfitta. L’incendio si propagherà così nella sua arte (i primi disegni pagati con regolarità sono del 1947, i Peanuts compaiono nel 1950): nel tempo e con la maturità, rimarrà la convinzione nella bontà del messaggio e si farà spazio una maggiore concessione ai dubbi che questi si porta dietro.

Come potremmo cantare il canto del Signore in una terra Straniera? (Salmi 137, 4)

Negli anni, Sparky ha preso alla lettera il salmo: il messaggio della religione si inceppa sempre quando deve adeguarsi ai tempi che corrono. Rimane davvero stupefacente come la buona novella di una vita che sarà, pur guardando sempre al futuro come unica destinazione possibile, si incagli nel presente, apparendo aggrappata alla tradizione che è un altro modo per dire passato. Il messaggio deve essere comprensibile in ogni tempo, in ogni luogo, attraverso ogni mondo. E, quel che è peggio, il messaggio deve essere veicolato il più possibile, la buona novella deve attraversare le ere e i deserti e raggiungere tutti, perché è a tutti che il divino parla. Credi. Devi Credere. Perché non credi? Non credi? Non meriti di vivere. Nei secoli, questo cause related marketing ha messo in mostra limiti evidenti: la scarsa sensibilità, la corsa secolare, il fanatismo cieco, l’ignoranza, la tetragona convinzione di stare sempre dalla parte del giusto ha armato quella “spada a due lame” -che è la parola, che è il Cristo– solo dalla parte tagliente. Tanto è stata sanguinaria quella convinzione quanto è genuino (ma stolto) lo stupore che si specchia nella scarsa permeazione del messaggio. Le chiese si svuotano, i seminari sono ridotti all’ombra. Chissà come mai.

Com’è buona una parola detta a proposito (Proverbi 15,23)

Parlare per parabole è la comunicazione indiretta che hanno adottato il Cristo prima e poi, tra gli altri, Paolo di Tarso (la sua parola è mimetica: si è fatto uguale a tutti per poterne salvare qualcuno, leggiamo nei Corinzi e così Schulz si farà fumetto) e che, anche tramite i pensieri di Kierkegaard, arriva nelle parole sottili di Linus Van Pelt. Linus è un divulgatore più genuino, meglio di Snoopy in questo senso (definito troppo dog-matic o in italiano can-onico). Il suo predicare è un ottimo modo per aggirare i secolari limiti del messaggio: il passato onusto riecheggia in formule salmodiate ma incomprensibili, in scelte lessicali discutibili e piene di omissioni. La fretta secolare di adottare un linguaggio piano ha spento la propulsione del messaggio, non è stato semplificato ma solo banalizzato, sminuito, anestetizzato. Eppure solo il messaggio salva, solo la santa mano dall’alta risveglia l’uomo, naturalmente peccatore: per chi vuole ascoltare c’è la salvezza, per chi non vuole ascoltare c’è l’aridità. Quando Lucy spiega a modo suo, con i pugni, il concetto del dovere e del divieto al fratello più piccolo, parla il linguaggio giusto per la loro età. La Chiesa deve sapere parlare una lingua che tutti possano capire. La normativa non si capisce, la chiarezza si. Meno assiologia, più campeggio estivo. In questo communication breakdown, si nasconde la grande forza dell’arte parabolica, perché si spoglia di paludamenti semantici e parla diretta al cuore dell’uomo, com-muovendo, nel senso letterale della parola. L’arte quando è ben fatta la riconosci subito: ti costringe a specchiarti in essa e così facendo giudica chi sta facendo altrettanto con lei.

Il cuore è ingannevole più di ogni altra cosa ed è inguaribile (Geremia, 17, 9)

I Peanuts risultano piuttosto manipolabili e sono stati strattonati, specie in Italia, alla ricerca di un’appartenenza a un élite o alla vicinanza a una causa (basti pensare a Oreste del Buono e a Umberto Eco). La lettura in controluce nell’ottica cristiana e cristologica, però, appare la più coerente, perché di tutte è l’unica dichiarata. L’arte parabolica di cui Schultz si sente felice (e, in qualche modo, unico) messaggero, traccia un ponte tra la Chiesa e il suo tempo. L’atmosfera sognante e i rimandi sospesi al contemporaneo del fumetto ne regaleranno sempre una contestualizzazione felice, offrendo alla Parola una sponda felice e fertile. Non giudicate il caro vecchio Sparky. Non dubitate, neppure per un attimo, della sua buona fede. Dietro al vorticare dei suoi personaggi, nell’edenica situazione di una maturità mentale che si accompagna con la corporeità infantile, rimane il giovane uomo entusiasta che testimonia la sua fede. Con la vita, con gli esempi e, nel suo caso, con la sua arte. “L’umorismo che non dice niente è un umorismo senza valore”: possiamo non apprezzare quanto ha da dirci, possiamo lasciare scorrere il messaggio, possiamo smettere di vegliare come le ancelle della parabola. Poco importa. Granitica è la fede nel prossimo di Schultz, incrollabile la fiducia di Charlie Brown per un futuro migliore in cui almeno una volta Lucy terrà ferma quella palla ovale, la ragazzina dai capelli rossi gli degnerà un sorriso e accetterà la sua lettera per San Valentino, riuscirà a vincere il campionato del quartiere di baseball.

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