La laurea è un percorso che varia tra i 3 e i 6 anni accademici. Ma quali sono le prospettive lavorative una volta terminati gli studi?
Tutti gli studenti, al termine del loro percorso di laurea, si ritrovano a domandarsi quale futuro li attenderà una volta indossata la tanto desiderata corona d’alloro.
E nel cercare una risposta a questa domanda spesso ne sorgono altre a catena in un processo che sembra non avere mai fine.
Ma quali sono le reali prospettive finito il percorso di studi?
Come prepararsi al meglio a questo salto nel vuoto?
Anticipare il problema
Una delle grandi lamentele che si ripete costantemente negli anni è quella dei datori di lavoro riguardo la mancata esperienza dei candidati.
Per ovviare a questo problema, il sistema universitario si è adoperato affinchè venissero aggiunti dei tirocini curriculari per dare la possibilità allo studente di apprendere il lavoro prima di adoperarsi nel cercarlo.
Questa strategia sarebbe efficacie se tutti i formatori responsabili designati dedicassero del tempo ai tirocinanti.
Quello che accade spesso è che i tirocinanti vengono messi da una parte a svolgere mansioni elementari (senza essere pagati) con il risultato che lo studente non solo non esce formato ma spesso annuncia di aver capito “cosa non fare” piuttosto che aver appreso qualcosa di importante per il suo lavoro.
Anticipare il problema potrebbe essere risolutivo di questo dilemma. Questo significa non aspettare l’ultimo anno per fare il tirocinio, e soprattutto non considerare il tirocinio come unica esperienza lavorativa da affiancare agli studi.
Quello che i datori di lavoro guardano maggiormente durante il colloquio con chi ha appena terminato gli studi sono le “esperienze parallele” piuttosto che il voto di laurea.
Fare esperienze lavorative parallele alla laurea
Nonostante in Italia la laurea non sempre risponda ad una richiesta del territorio, in teoria ad ogni laurea corrispondono uno o più lavori specifici.
Questi lavori (tutti) necessitano di un certo tipo di competenze che possono essere apprese non necessariamente sul campo specifico.
Sono le cosiddette “soft skills” e si apprendono in tantissimi ambiti lavorativi (o di volontariato). Queste non hanno niente a che vedere con il percorso di studi. Anzi. Sono competenze che sono impossibili da recuperare dai libri o dalle lezioni universitarie.
Mi riferisco per esempio a saper lavorare in gruppo, rispettare delle scadenze, comunicare sotto stress, gestire un imprevisto, guidare un gruppo di persone, assumersi responsabilità, risolvere un problema creativamente, buttarsi in cose di cui non si ha totale controllo.
Ad esempio per chi studia materie in ambito sanitario prestare volontariato in pronto soccorso può aiutare a gestire emotivamente situazioni critiche; per chi studia marketing lavorare al pubblico (per esempio come cameriere) può insegnare a comunicare con un cliente e comprendere il suo pensiero; chi studia materie umanistiche in campo sociale può cercare lavoro o fare volontariato nelle cooperative o nelle onlus; e così via…
Se veramente so cosa mi serve per essere appetibile per il lavoro, che sia una soft skills o che sia una competenza tecnica specifica (come l’uso di software specifici come Excel, conoscere bene una seconda lingua, saper fare una presentazione, saper cercare informazioni sul web confrontando fonti diverse, saper scrivere una mail), cercare luoghi dove fare esperienze dirette non è per nulla difficile.
Il problema nasce quando non si sa cosa si vuole fare da grandi o non si sa a chi chiedere informazioni…
Chiedere a chi ne sa più di noi
Per capire cosa è richiesto dal lavoro specifico che intendiamo fare oppure comprendere quale sia l’iter da seguire l’unico modo sicuro è chiedere a chi sta svolgendo quel lavoro nel presente.
È importante la parte dove dico “nel presente”, e non penso sia necessario spiegare il perchè.
E siccome non tutti noi abbiamo parenti o amici nel settore specifico, c’è solo una persona che fa sicuramente al caso nostro: il professore universitario.
Durante un percorso di laurea sono tanti i professori con cui entriamo in contatto.
Questi dovrebbero essere dei professionisti della materia. E visto che per contratto sono obbligati ad avere un orario settimanale di ricevimento, perdere la loro consulenza di esperti è una delle sciocchezze più comuni tra gli studenti universitari.
È vero, non tutti i professori sono dei professionisti del mestiere (anche se esperti della materia specifica). Non solo, è vero anche che non tutti i professori sono disponibili allo stesso modo. Ma tra i tanti ci sarà sicuramente più di qualcuno che non vede l’ora di parlare di qualcosa di diverso che delle mere lezioni universitarie.
Chiedere loro consigli è uno dei modi migliori per fare chiarezza e prendere informazioni importanti senza troppo sbattimento.
Sicuramente sono le persone più competenti per rispondere a domande sul lavoro che sarà, sul percorso da svolgere o sui possibili sbocchi lavorativi.
Altrimenti ci sono gli stage post-laurea
Se tutto questo non vi ha convinti (o pensate che non funzioni per voi) non vi rimane che cercare uno stage post laurea (oltre agli anni di tirocinio obbligatori per alcune professioni come lo psicologo, l’avvocato o l’architetto).
Lo stage di base dura dai tre e i sei mesi. Un tempo onesto per comprendere il lavoro, per scrivere qualcosa in più sul curriculum oppure per capire che non era la strada giusta per voi.
Non potendoci tutti permettere un master da 20mila euro, non resta che concorrere a stage gratuiti dove ci sono altri 60 candidati per un unico posto (non retribuito).
Se invece non volete ritrovarvi dopo la laurea a non avere idea di cosa richieda il mercato, l’unica soluzione è farsi le domande giuste durante il percorso (il prima possibile) e non a fine di esso.
Se siete sensibili all’argomento (o se state già facendo uno stage non retribuito) per sdrammatizzare un po’ vi suggerisco il film Lo Stagista Inaspettato con Robert De Niro e Anne Hathaway.
Ci saranno molte cose su cui riflettere di quanto appena detto (ma non voglio rovinarvi nulla!)
Buona visione!