Ecco come l’epidemia Covid ha influenzato l’estetica dei film usciti dopo il 2020

L’epidemia  Sars- Covid che si è scatenata nel 2020 ha condizionato e modificato le abitudini di tutto il mondo, andando ad influenzare la percezione comune dello spazio, inevitabilmente, anche nel mondo del cinema. 

Immagine presa dal trailer del film “Siccità” della Vision Distribution, presente su Youtube.

Quattro anni fa, tutto il mondo era in stretta quarantena forzata, e così anche le nostre abitudini e attività più banali, come recarsi al cinema a vedere un film.
Quando è arrivato il via libera, all’ incirca verso la fine dell’ anno 2020, l’ industria cinematografica è ripartita, ma i registi e i reparti tecnici hanno tenuto bene a mente quanto avevano vissuto, e lo hanno rappresentato nei loro lavori.
Vediamo qualche esempio e analizziamo l’ estetica, profondamente peculiare, dei film usciti nei tre anni successivi al 2020.

Epidemie e quarantene

Il primo segno inequivocabile dell’ esperienza del contagio da Sars-covid è sicuramente la presenza delle malattie nei film: in alcuni casi, i personaggi affermano che c’è un’ epidemia in corso, in altri viene affrontato il tema del contagio ma senza riferirsi al Covid.
Songbird” fu il primo film girato a Los Angeles dopo il lockdown, prodotto da Michael Bay e ambientato in un futuro distopico in cui il virus Sars-covid non è mai stato sconfitto.
L’ aspetto interessante è che gran parte delle scene si svolgono sulla piattaforma Zoom, e in diversi casi i personaggi sono soli negli ambienti, o al massimo con un’ altra persona, proprio come durante la quarantena del 2020.
Il film non ha ottenuto molto successo, forse perché troppo esplicito su una condizione di grande sofferenza generale.

In “Pearl”, film del 2022 diretto da Ti West, la madre della protagonista afferma:

“ Nel caso non te ne fossi accorta, c’è un’ epidemia in corso. Non puoi andare al cinema, non possiamo permetterci che io o tu, oltre a tuo padre, ci ammaliamo.”

La protagonista del film è spesso isolata, vittima della sua rabbia repressa e viene da chiedersi: “ma dove sono tutti? Perchè Pearl è sempre sola coi genitori?”.
La quarantena a cui è sottoposta la città non è dichiarata verbalmente, ma è visivamente esplicita.
I personaggi del film vengono inquadrati più volte mentre indossano mascherine o fazzoletti sul viso, anche se il riferimento diretto è all’ epidemia di febbre spagnola del 1918.
Il pubblico in sala avrà sicuramente riscontrato una corrispondenza tra i personaggi del film che vanno al cinema con la mascherina, e la loro condizione reale, molto simile.

Immagine presa dal trailer del film “Pearl” della Universal Pictures Uk, presente su Youtube.

Case piccole e affollate

Nel film “Malcom & Marie”, del 2021, una coppia affronta i propri problemi personali litigando violentemente, e durante la visione del film, si ha spesso la sensazione che il massimo dell’ “esterno” che possano concedersi sia il giardino, rimanendo comunque rinchiusi dentro un perimetro limitato.
Il film è girato in bianco e nero, i personaggi sono sempre e solo due, in uno o più interni, raramente nella medesima inquadratura per rispettare il distanziamento sociale. Gli spazi risultano spesso stretti e pieni di oggetti, restituendo una sensazione di claustrofobia potente e il desiderio di uscire da quella casa, diventata più un labirinto che un’ abitazione.

Anche nel film di Wes Anderson “Asteroid City”, uscito nel 2023 ma prodotto tra il 2021 e 2022, si notano ambienti domestici che diventano piccoli e claustrofobici: quando i visitatori della città di Asteroid City incontrano accidentalmente un alieno, vengono richiusi in alloggi temporanei e costretti a una lunga quarantena.
Le inquadrature diventano, quindi, estremamente strette, con gli attori ripresi con campo e controcampo attraverso una piccola finestrella quadrata, che li “ritaglia” facendoli sembrare sproporzionatamente grandi.
Spesso, i protagonisti comunicano per intere scene attraverso le finestre e i balconi della loro abitazione, posizionati agli estremi dell’inquadratura, vicini in termini di metratura tra le finestre degli alloggi, ma comunque distanti a livello emotivo. Un po’ come molti degli abitanti delle città si sono ritrovati a vivere durante la quarantena.

Immagine presa dal trailer del film “Asteroid City” della Universal Pictures Italy, presente su Youtube.

Spazi enormi e desolati

Sempre in “Asteroid City” le scene all’ aperto, prima del contatto con l’alieno, sono molto diverse: gli spazi sono sconfinati e regna la solitudine, in una
ambientazione in mezzo al deserto che è un’ allegoria molto azzeccata riguardo la sensazione di solitudine e desolazione.

Allo stesso modo, anche nel film “Bones and All”, di Luca Guadagnino, sebbene l’argomento sia di altro genere, si ha spesso la sensazione che la città sia, per qualche motivo, volutamente deserta, come se i personaggi fossero stati improvvisamente catapultati dentro un quadro di Edward Hopper.
Anche questo è un tratto caratteristico dei film “post – covid”, caratterizzati da grandi spazi urbani disabitati e ambienti vuoti.
Questa caratteristica potrebbe sembrare in contrasto quelle descritte sopra, ma in realtà, non fa che rafforzare il concetto: durante l’ epidemia del 2020, le metropoli sembravano diventate città fantasma, le strade erano vuote, i supermercati in preda alla desolazione e, in alcuni casi, scarsi di prodotti.
Non sorprende, quindi, che la riflessione del cinema post – covid riguardo gli spazi, si sia articolata in entrambe le direzioni.

Siccità”, film di fantascienza distopica di Paolo Virzì, immagina uno scenario in cui non piove da tre anni e la città di Roma deve fare i conti col razionamento delle risorse idriche.
Molte inquadrature riprendono luoghi della città eterna quasi disabitata, in un’ alternanza di toni caldi e atmosfere soffocanti per gli esterni, colori freddi e contrastati per le scene in interno e nelle abitazioni.
Quello che avviene rispecchia in parte quanto abbiamo visto succedere durante la pandemia, con gli idrologi al posto degli immunologi e le zone che ci sono familiari nella vita di tutti i giorni che diventano improvvisamente vuote.

Anche il film “Songbird” contiene molte inquadrature di Los Angeles deserta durante il lockdown, che diventeranno, insieme ai numerosi reportage fotografici realizzati durante le quarantene, una testimonianza di quanto è accaduto, con la speranza che riguardi soltanto il passato, ma il dubbio che possa ricapitare.

 

 

 

 

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