Ecco come Robert Capa ci ha reso testimoni dello sbarco in Normandia

La storia di scatti che hanno fatto la storia.

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A ottant’anni dal celebre quanto drammatico sbarco in Normandia, vediamo insieme ciò che si nasconde dietro il successo delle “magnifiche undici”.

Venti di guerra

Normandia. Martedì 6 giugno 1944. Ore 06.30. Tre divisioni di fanteria statunitensi giungono sulle spiagge di Utah e Omaha, seguite un’ora più tardi da altre tre divisioni anglo-canadesi dirette verso Sword, Juno e Gold. L’obbiettivo? La creazione di una nuova via verso l’annientamento della Germania nazista e verso la pace. Un attacco necessario e fortemente voluto anche dall’Armata Rossa che da anni veniva ormai massacrata dalle potenti forze tedesche. La reazione del nemico nella Francia occupata fu atroce e ancora oggi le perdite da essa causate vengono annualmente onorate presso il cimitero di guerra di Colleville-sur-Mer. I superstiti hanno dettagliatamente raccontato quello che accadde quella mattina: i piani degli alleati, le loro ambizioni e il contrattacco nemico. È grazie a loro e a ciò che ne seguì che l’importanza di quel drammatico avvenimento può dirsi oggi largamente compresa. Le loro testimonianze non sarebbero per noi così “nitide”, però, se non fossero state “messe a fuoco” dall’obiettivo di Robert Capa.

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La nascita di un personaggio

Barcellona. Agosto 1936. Nasce Robert Capa. E no, non è il “giorno 1” della vita di un bambino, bensì il primo giorno della nuova vita di un ungherese ebreo nomade per scelta e necessità, innamorato della sua macchina fotografica e della sua Gerda Taro. “Robert Capa” è il nome con il quale André Friedmann entrerà nei libri di storia. Fotografo di guerra e comunicatore per eccellenza, Capa viene considerato uno dei padri fondatori del fotogiornalismo. John Steinbeck dirà di lui che “sapeva che cosa cercare e cosa farne dopo averlo trovato. Sapeva, ad esempio, che non si può ritrarre la guerra, perché è soprattutto un’emozione. Ma lui è riuscito a fotografare quell’emozione conoscendola da vicino”. Le sue foto della Guerra Civile spagnola ne sono la prova.

Ciò che ne rimane

Dall’occhio sensibile e dallo scatto veloce, Capa diventa famoso in tutto il mondo per l’autenticità delle sue foto. Soggetti spontanei e setting non scrupolosamente costruiti. Del resto, la guerra non lo permette. Agli albori di quella che sarà la Seconda Guerra Mondiale Capa è a New York dove lavora per Collier’s Weekly e Life. Grazie alla sua spiccata capacità di relazionarsi con gli altri, riesce sempre ad assicurarsi posti in prima fila in teatri di guerra che segnano la storia mondiale. Così, martedì 6 Giugno 1944 anche lui si imbarca con gli alleati alla volta dell’isola Omaha. Quello che ne deriva è una testimonianza diretta e struggente di quel massacro. Le sue foto suggeriscono movimento, disperazione, caos estremo, morte. Quattro rullini, cento scatti con destinazione lo studio di Life a Londra. Sì, cento. E allora come mai si parla solo di 11 “magnifiche” foto? Proprio in quello studio la sera dopo lo sbarco Dennis Banks, aiutante del responsabile d’ufficio, distruggerà le altre 89. Non volontariamente, sia chiaro. Una svista, un errore dovuto all’entusiasmo del tenere tra le mani un pezzo di storia. Forse, però, fu proprio ciò che andò perduto quella sera, a mettere ancora più in risalto la drammatica “perfezione” e la sconvolgente veridicità di quelle che ancora oggi sono giustamente conosciute come “le magnifiche undici”.

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