Si tratta di una tra le canzoni più belle di sempre, realizzata da una tra le band migliori di sempre. È “Bohemian Rhapsody”, ma oggi la rivediamo nell’ottica di Feuerbach.
Cominciamo col dire che “Bohemian Rhapsody” è una canzone destinata ad essere una numero uno. È inserita nell’album più celebre dei Queen, A night at the opera, ha ricevuto moltissime nomine come brano più bello di sempre, in più ci dice tanto, anzi tantissimo, sul suo autore, Freddie Mercury. Potremmo quasi definirla la sua autobiografia esistenziale, ed è proprio in questa particolare prospettiva che scopriamo un interessante legame con quella che Feuerbach definì alienazione religiosa. Piccolo preavviso, non c’entrano nulla i riferimenti alla figura del diavolo di cui è cosparsa la canzone, che hanno un significato molto più metaforico di quanto la fantasia comune abbia voluto credere.
La storia di Mercury ci illumina sulla sua opera
Partiamo quindi proprio dall’aspetto autobiografico che questa canzone ci mostra più o meno chiaramente. Freddie Mercury nasce a Zanzibar da una famiglia seguace della religione zoroastriana, dottrina celebre per la propria rigidità morale, alla quale lui stesso si rifiuta di conformarsi. Nel recente biopic intitolato appunto Bohemian Rhapsody, viene raccontato un rapporto abbastanza conflittuale tra Freddie e suo padre proprio per la sua non conformità all’etica poco elastica della famiglia. Ovviamente non possiamo sapere fino a che punto questa storia sia affidabile o romanzata, ma da fonti sicuramente più certe sappiamo che questa contraddizione in Mercury è presente sin dall’adolescenza. Al college, infatti, forma quella rockband che poi si chiamerà Queen. “Bohemian Rhapsody” viene partorita in un momento molto particolare, quella in cui il frontman dichiara la propria omosessualità, concetto demonizzato proprio dalla sua religione di origine. Nel testo viene raccontata una storia drammatica, un vero e proprio percorso di liberazione da quella stessa contraddizione che coinvolge la vita familiare di Freddie e la sua stessa identità.
Il testo di “Bohemian Rhapsody” è la liberazione
Mamma, ho ucciso un uomo, gli ho puntato una pistola in testa e ora è morto. (…) Non volevo farti piangere, se domani a quest’ora non sarò tornato.
Così recita il testo della canzone. Si tratta di un passaggio, di una vera e propria liberazione da un sistema morale che non ammette eccezioni. Si tratta ovviamente di una sola piccola componente dell’intera gamma di significati che si nascondono in “Bohemian Rhapsody”, che tutt’ora la band non ha intenzione di svelare, a testimonianza di quanto intimo questo brano potesse essere per il suo autore. Ci troviamo quindi di fronte a un momento di spaccatura tra l’etica opprimente di Zoroastro e quella consapevolezza che la propria identità non può essere modellata rispetto a un immagine perfetta che probabilmente non esiste. È qui che entra in gioco Feuerbach e quella sua brillante analisi sulla religione che rappresenta una solidissima base per la filosofia successiva.
Feuerbach ci parla di Dio come del nostro riflesso
È necessario fare un piccolo passo indietro per capire da dove arriva l’interesse di Feuerbach per la religione e per la sua decostruzione. La sua infatti è in origine una critica alla prospettiva di Hegel e al suo discorso sull’assoluto. Lo Spirito hegeliano viene visto in questo senso come l’inizio e il fine non solo della realtà, ma della stessa ricerca filosofica, punto di vista che Feuerbach non può accettare. Quest’ultimo propone infatti un rovesciamento proprio nell’approccio stesso alla ricerca. La filosofia non comincia con Dio, ma con l’uomo. Presupposto fondamentale che darà il via a un’altra critica magistrale all’hegelismo, quella di Marx. Ma tornando al discorso sulla religione, in quest’ottica nella quale l’uomo rappresenta l’inizio della filosofia, egli funge anche da incipit per la fede. Si tratta quindi di concepire Dio come un prodotto dell’umanità, che protetta se stessa in un entità perfetta cui fare affidamento. Tale affidamento diventa così sinonimo di un rigido sistema morale che vede l’uomo come servo e padrone allo stesso tempo. È una pretesa di perfezione. Feuerbach quindi ci offre non solo una lucida analisi, ma un ottimo motivo per rivedere la nostra etica inamovibile, mentre Freddie Mercury ne rappresenta la più concreta realizzazione. Se i grandi della musica possono, nel bene e nel male, insegnarci qualcosa, qui dobbiamo essere disposti ad imparare quanto conta l’identità rispetto al cieco abbandono a qualcosa che non ci rappresenta.