I diversi volti dell’oratoria attraverso le epoche : Cicerone, Gabriele D’Annunzio e Diego Fusaro

Partendo dal magister Cicerone, si analizzeranno la versatilità e  l’utilità della scelta lessicale in Gabriele D’Annunzio e Diego Fusaro

Il “Vate” Gabriele D’Annunzio, Pinterest

 

La capacità evocativa delle parole ha sempre rappresentato la principale arma per chiunque dovesse sedurre o convincere con l’eloquio. Svariati sono i modi e le finalità con cui veicolare il proprio pensiero, che tu sia il  “Vate” o  il “Turbo-filosofo”.

Ci serve un Cicerone

Trattando di oratoria e ars scribendi, è certamente doveroso appellarsi ad uno dei più grandi maestri: Marco Tullio Cicerone. Celeberrimo oratore, abilissimo avvocato e pilastro della produzione letteraria latina, nel suo: “De oratore” delinea la figura del perfetto orator, canonizzando inoltre le parti fondanti del discorso eseguito ad hoc: inventio, dispositio, elocutio, memoria e actio.
Tra le cinque, l’elocutio è lo spazio dedito alla più alta espressione della propria “fantasia terminologica” ed è precisamente qui che il giovane filosofo anti-capitalista e lo spirito magno abruzzese, ben consapevoli della lezione ciceroniana, danno il meglio di loro.

Busto di Marco Tullio Cicerone, Thinglink

Il filosofo e la sua “veterolingua quasi dantesca

Contrapporre due personaggi così distanti richiederà una fatica che si potrebbe definire leviatanica, come leviatanica viene definita dal sig. Diego Fusaro la “talassocrazia del dollaro“. Per dirla in parole povere, il filosofo sta descrivendo la grande influenza esercitata dagli Stati Uniti attraverso la propria moneta. Questa, però, è solamente una delle innumerevoli “acrobazie” linguistiche con le quali meraviglia i pochi, perché tali sono, fautori del suo stile oratorio e invece stizzisce i restanti ascoltatori. Oramai hanno acquistato una certa e discussa fama i suoi neologismi, tra i quali “Turbocapitalismo“, il più rappresentativo e gettonato e “Glebalizzazione“, rivisitazione in chiave decisamente critica dell’attualissimo “globalizzazione”. Non solo neologismi, ma vere e proprie locuzioni, caratterizzate da un lessico aulico e pomposo. Così si esprime il giovane filosofo nei confronti di Roberto Saviano, schieratosi in difesa di Carola Rackete, capitana della Sea Watch: “Il solito bardo cosmopolita dal sontuoso attico di Nuova York, cinto da noia patrizia e attorniato dalle titillevoli aragoste, inesausto aedo dei desiderata della classe dominante turbocapitalistica.” La domanda sorge spontanea: è davvero necessario servirsi di termini desueti e di difficile comprensione per dire la propria? Quanto questa scelta è fruttuosa ed efficace al proprio obiettivo comunicativo? Prima di tentare di dare una risposta, occupiamoci non di un semplice uomo, ma di un “superuomo”, che della parola ornata ne ha fatto un’ arte: Gabriele D’Annunzio.

Il filosofo Diego Fusaro, Diego Fusaro

Parola al “Vate”

Elogio a Suora Albina di tutti i fuochi per il camangiaretto di fragole che è un poco di aurora intriso con la rugiada fredda.” Così il Rapagnetta, cognome reale del glorioso “Vate”, elogia un manicaretto preparatogli da Albina Lucarelli Becevello, alias “Suor Intingola”, probabilmente l’unica donna con cui ebbe un rapporto solamente epistolario e soprattutto casto, a differenza della quasi totalità degli altri rapporti con il genere femminile. Perché D’Annunzio non le scrive semplicemente che il dolce era buono? Facile, perché altrimenti non sarebbe D’Annunzio! Sono moltissimi, infatti, gli scritti autografi recanti messaggi di per sé semplici ma farciti di arcaismi e stucchevoli convenevoli. Se una scelta lessicale così schifiltosa(Gabriele approves) la si riscontra in lettere quotidiane, è in poesia che il “barocco d’annunziano” prende il volo. Oltre ai svariati neologismi, tra cui tramezzino, oro saiwa, velivolo, non esiste migliore manifesto de: “La pioggia nel pineto” per rappresentarlo.
“Odo”, “fulgenti”, “aulenti”, “silvani” sono solo alcuni dei termini che testimoniano la scelta del poeta votata all’antico e alla massima potenza evocativa, una scelta che è emblema di una esistenza da vivere in toto come un’opera d’arte: “Life is a work of art“. Quale arte migliore della parola?
Necessaria o meno, utile o meno, l’abilità lessicale è cosa per pochi e congetturare eccessivamente in merito rischia di non far apprezzare a pieno la bellezza sconvolgente del “bel parlare”, che molto spesso riesce a sedurre e convincere. D’altronde: come avrebbe potuto un uomo basso, non di bell’aspetto, pelato e certamente non atleticamente prestante come D’annunzio finire nello stesso letto delle donne più belle dell’epoca?

Lettera a “Suor Intingola”, Pescaranews

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