Il 25 febbraio nasceva Carlo Goldoni: lo celebriamo con cinque importanti commedie del suo repertorio

Nel giorno della ricorrenza della sua nascita, andiamo alla scoperta di cinque dei più importanti testi del commediografo veneziano. 

 

Alcune maschere della Commedia dell’Arte, di cui Goldoni fu un grande riformatore

Il 25 febbraio 1545, presso un “notaro” di Padova, avvenne quello che gli studiosi considerano l’atto di nascita della Commedia dell’Arte, uno dei generi teatrali che più hanno reso famosa l’Italia nel mondo. E forse era un caso o forse era destino che, proprio il 25 febbraio, ma del 1707, sarebbe nato colui che più ha riformato (se non combattuto) gli schemi della Commedia dell’Arte: Carlo Goldoni. Quando si dice “nato sotto una buona stella”, nel caso di Goldoni quella stella probabilmente già si sbellicava dalle risate. Investitura o benedizione celeste a parte, Goldoni, come la Commedia dell’Arte, è stato un altro grande pezzo pregiato della storia del teatro italiano, un autore capace di scrivere oltre duecento testi teatrali in poco più di cinquant’anni di carriera. Goldoni era un riformatore del divertimento, un innovatore con lo straordinario talento di far ridere. E adesso, con una selezione onestamente molto difficoltosa delle sue opere più importanti, cercheremo di rendere omaggio all’anniversario della sua nascita.

La “Locandiera”, ovvero il capolavoro

C’è poco da dire riguardo alla “Locandiera” di Goldoni. Una commedia conosciutissima e apprezzatissima, che vanta rappresentazioni e riallestimenti in tutto il mondo. In realtà, quando venne rappresentata per la prima volta al Teatro Sant’Angelo di Venezia nel 1753, non riscosse molto successo e le repliche furono presto interrotte. Si trattava del periodo di più grande riformismo del teatro goldoniano, e il pubblico aveva manifestato reazioni contrastanti alle novità introdotte dal comico veneziano. Ma è innegabile che, tra le opere di quegli anni, la Locandiera rappresentò il punto più alto e il risultato più maturo dell’intera fase riformistica di Goldoni. E poco importò se, dopo l’insuccesso della Locandiera, la sua collaborazione col capocomico Girolamo Medebach e la sua compagnia venne bruscamente interrotta. Il personaggio di Mirandolina, la locandiera seducente e attenta amministratrice della sua attività commerciale, insieme al servo Fabrizio e ai tre ammiratori che la corteggiano senza sosta, avrebbe conosciuto una fortuna immensa nei secoli a venire. Una vicenda con trovate testuali e sceniche tutte da ridere, ma che offre persino uno spaccato realistico della società veneziana del tempo di Goldoni, come quasi tutte le sue commedie. E, con l’importante premessa alla commedia, intitolata “L’autore a chi legge“, Goldoni intendeva difendere la moralità del suo testo (contro chi lo definiva persino osceno), insistendo sulla funzione etica e pedagogica del suo teatro. Se non altro, scrive, insegnerà agli uomini a stare attenti a certe donne che vogliono burlarsi di loro con “barbara crudeltà”.

La “Donna di garbo” e l’inizio della riforma

Per questa commedia bisogna tornare indietro di dieci anni rispetto alla Locandiera e andare a conoscere un Goldoni all’inizio della carriera. Infatti quando ha scritto questa commedia era ancora un “Poeta di compagnia”, ovvero quegli scrittori che accompagnavano le compagnie teatrali della Commedia dell’Arte e scrivevano i canovacci per i personaggi. Essendo basate perlopiù sull’improvvisazione, le scene dei comici dell’arte non necessitavano di chissà quale testo. Goldoni e o poeti di compagnia dovevano semplicemente tracciare a grandi linee una trama, scrivere magari qualche battuta ad effetto che potesse servire all’attore come asso nella manica e basta. Ma l’indole di Goldoni non era come quella degli altri poeti di compagnia e presto questo ruolo iniziò a stargli stretto. Già con il “Momolo cortesan” del 1738 aveva compiuto un iniziale strappo alla regola: tutte le parti erano redatte a canovaccio, tranne quella del protagonista, che invece era scritta per intero, battuta dopo battuta. Ma la grande rivoluzione avvenne, in definitiva, proprio con la “Donna di garbo“, nel 1743: questa fu la prima commedia interamente scritta da parte di Goldoni, pietra miliare della sua importantissima riforma e del suo clamoroso successo futuro. Da lì in poi il teatro in Italia non sarebbe stato più lo stesso. A livello di trama possiamo garantire che, nonostante il talento ancora acerbo di Goldoni, c’è molto da divertirsi. Ancora una ragazza piacente, Rosaura, che gioca con la sua avvenenza per intrufolarsi in una nobile famiglia di avvocati, riuscendo a mettere padre e figlio l’uno contro l’altro, con un esito incerto fino alla fine. Ultima curiosità: questa commedia fu scritta nel 1743, come già detto, ma fu rappresentata per la prima volta solo nel 1746. Goldoni infatti si era ritrovato coinvolto in guai giudiziari e dovette fuggire da Venezia, dove tornò solo nel 1748.

Costumi di carnevale a Venezia nel XVIII secolo

“La bottega del caffè” e la vivacità della realtà

Nella stagione teatrale 1750-1751, Carlo Goldoni fece una promessa al pubblico che rasentava la follia: annunciò la scrittura di dieci nuove commedie. Si era praticamente vincolato ad un’impresa autoriale quasi insormontabile. Ma non solo riuscì (anche se a fatica) a mantenere la promessa, perché partorì anche delle opere di caratura notevole e pregiata. Tra questi nuovi testi spiccano “Le femmine puntigliose“, “I pettegolezzi delle donne“, la commedia metateatrale “Il teatro comico“, che riesce a far ridere nonostante sia una critica fatta al teatro tramite il teatro. Inoltre, degna di nota, è la commedia che dà il titolo a questo paragrafo: “La bottega del caffè“, molto riuscita in quanto gli espedienti comici riescono a rendere questa vicenda piacevole, vivace e divertente da seguire. Come ci riesce? Semplicemente Goldoni attinge alla vita reale e quotidiana del popolo veneziano, così pittoresco e vitale in ogni sua componente e la trasferisce sulla scena. Al centro di un “campiello” (piccola piazza tipicamente veneziana) che occupa la scena, c’è una bottega del caffè, di quelle che in quei tempi cominciavano a comparire nelle grandi città d’Europa. E attorno a questa bottega entrano, escono, parlano e agiscono i personaggi della vita comune di Venezia, con tale vivacità che si può comprendere davvero il perché Goldoni sentiva la necessità di rappresentare la realtà della società del suo tempo, senza eccessivo uso di maschere e stereotipi. E al centro del vorticoso moto instancabile delle persone (che contrasta bene con la staticità dello sfondo, ovvero la bottega) si staglia il protagonista, don Marzio, un nobile decaduto. Marzio è un calunniatore invidioso che non fa altro che spiare le vite degli altri e seminare zizzania tra di loro, sussurrando pettegolezzi e diffondendo maldicenze su questo e su quello. A causa delle dicerie, spesso false, che va dicendo, si generano equivoci, battibecchi e incomprensioni che danno al testo una carica comica tale che sembra non potersi più fermare. Alla fine, il nostro calunniatore don Marzio, uscirà dalla scena tra gli insulti generali del gruppo, con un Goldoni che si lascia andare un po’ al turpiloquio. In fin dei conti don Marzio se lo meritava.

“I rusteghi”: critica alla borghesia e scontro generazionale

Quando Goldoni giunse alla sua fase artistica del triennio 1759-1762, si apprestava a sfornare altri grandi capolavori della sua creatività teatrale. Ma era cambiata la sua mentalità, la sua visione della società in cui si trovava a vivere e a mettere in scena le sue opere. Perché se i personaggi di questa fase sono perlopiù simili a quelli dei testi precedenti, diversa è la concezione sociale che di essi ha Goldoni. Non tanto riguardo al popolo semplice, ma alla borghesia, colpevole di essersi rinchiusa troppo in se stessa, di essere diventata troppo moralista e intransigente perdendo quello spirito dinamico di cavalcare la novità che l’aveva caratterizzata in precedenza. La borghesia cara a Goldoni è vivace, attiva, sempre pronta al nuovo. Quella di questa fase (cioè quella che l’uomo di teatro veneziano poteva vedere coi suoi occhi) era diventata gretta, cinica e sorda alle nuove istanze. Spesso poco incline a considerare i giovani che cercavano di emergere, con il risultato di creare loro un ostacolo difficile da superare e un vero e proprio scontro generazionale. Per questo, tra i capolavori come “Gli innamorati“, “Le baruffe chiozzotte“(scritte nel dialetto di Chioggia)  e “Sior Tòdero brontolon“, forse quello più rappresentativo di questa fase è “I rusteghi“, scritta in veneziano e rappresentata nel 1760 per la prima volta. I “Rusteghi” sono i protagonisti, ovvero quattro vecchi mercanti veneziani rappresentanti della antica borghesia. Quella stessa borghesia che anni prima si era fatta da sola, con dinamicità e forza d’animo, scalfendo i privilegi aristocratici e presentandosi come il ceto promotore di un rinnovamento migliorativo della società. E adesso i quattro mercanti si sono ripiegati in una sorda chiusura nelle loro poche certezze, tutte inerenti ad un’ottica moralista e conservatrice che si oppone alle istanze contrarie e squisitamente vitali delle mogli e dei loro figli. I tentativi (spesso vani) di incontrarsi tra di loro dei giovani innamorati, il contrasto ferreo dei vecchi rusteghi (così definiti per il loro carattere burbero) e il parteggiare delle loro mogli per i figli danno vita a sapienti giochi scenici che suscitano la risata e mettono in ridicolo l’involuzione del ceto borghese rappresentato dai quattro vecchi. I quali, a dirla tutta, nel finale riescono a mettersi in ridicolo da soli, cominciando ad insultarsi a vicenda e incolpando gli uni le mogli degli altri per i fatti accaduti in precedenza. Il finale riappacificato non toglie nulla alla velata critica alla borghesia mercantile veneziana, ad opera di un Goldoni cinquantenne deluso e in procinto di lasciare la città per stabilirsi definitivamente a Parigi.

Disegno relativo alla commedia “Le smanie per la villeggiatura” di Goldoni

La “Trilogia della villeggiatura”

Sì abbiamo detto che sarebbero state cinque le commedie inserite qui e adesso ci smentiremo da soli. Perché chiudiamo questa lista con un pezzo di bravura di Goldoni, in grado di scrivere per la stagione del 1761 tre commedie (e non una) legate tra loro da un unico tema: la villeggiatura in campagna, usanza delle classi agiate e benestanti di Venezia alla quale proprio non si poteva rinunciare. Un argomento, quello della vacanza in zone campestri, che Goldoni aveva già affrontato in passato in commedie come “I malcontenti” ( 1755)  o, appunto, “La villeggiatura” (1756). Ma poi viene ripreso abbondantemente in questa trilogia legata, che, per i più inclini a creare collegamenti tra generi letterari, può riecheggiare le grandi messe in scena della tragedia greca, qui però con tono evidentemente ironico. Ma, si badi bene, ironico e non farsesco o burlesco. Quella della trilogia della villeggiatura, infatti, è una comicità un po’ velata, una risata così così, perché anche queste tre commedie si inseriscono nell’ambito della critica alla borghesia di cui si è detto sopra. E tutte le smanie e gli espedienti (con le trovate sceniche) per poter fare questa villeggiatura anche se i soldi scarseggiano, sono la fonte di un divertimento riflessivo. La classe aristocratica o alto borghese di Venezia si poteva benissimo rivedere in quei personaggi che, tra amori, pettegolezzi e vicissitudini, fanno della villeggiatura il loro status symbol e proprio non vogliono saperne di rinunciarvi. Anche a costo di indebitarsi. Con “Le smanie per la villeggiatura“, “Le avventure della villeggiatura” e “Il ritorno dalla villeggiatura” Goldoni è riuscito a creare tre commedie uniche, inimitabili e legate tra loro.

Una piccola menzione per una commedia di Goldoni scritta in un periodo, quello parigino, un po’ oscurato dai libri di letteratura. Ma anche in questo periodo Goldoni non ha perso il suo estro comico e lo si può vedere in una commedia tutta da ridere come “Il ventaglio“, scritta nel 1764 ma che ha avuto moltissimi rifacimenti nei secoli successivi, anche ad opera di registi come Luca Ronconi. Non vi anticipiamo nulla sulla trama, anche perché non abbiamo più spazio, ma meglio così: questa commedia merita di essere letta anche senza avere anticipazioni.

 

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