Si ferma anche l’Oktoberfest: è la notizia di questi giorni che da Monaco raggiunge tutti gli appassionati di birra nel mondo. Ma come si nasconde la chimica in questo mondo?
“O’zapft is!” (è stappata!). Con questo grido si apre ogni anno la più grande festa popolare del mondo. Oltre un milione di turisti invade tra la fine di settembre e l’inizio di ottobre la capitale della Baviera. Una tradizione che si perde nei secoli, che conta oltre duecento anni di esistenza. Famosa per la birra, ma nata storicamente con altri obiettivi, e simbolo del folklore e delle tradizioni tedesche, replicata in tutto il mondo, dal Canada, all’Argentina fino al Brasile: stiamo parlando dell’Oktoberfest di Monaco. Arriva in questi giorni la notizia che per la prima volta nel nuovo millennio il festival viene cancellato, a causa del Coronavirus.
La storia dell’Oktoberfest
Non è la prima volta, dalla prima edizione del 1810, che il festival viene cancellato. Era già successo diverse volte in passato, spesso in corrispondenza delle guerre (guerre napoleoniche nel 1813, guerra prussiano-austriaca nel 1866, franco-tedesca nel 1870, Prima e Seconda guerra mondiale), o di grosse inflazioni (1923-1924), o anche di epidemie, proprio come in questo caso, nel 1854 e nel 1873, entrambe di colera. Ripercorrendo la storia di quella che poi è diventata la festa popolare per antonomasia, scopriamo che in origine l’Oktoberfest, o Wiesn, come viene chiamato nel dialetto bavarese, era tutt’altro che un festival della birra. Nasce infatti come una corsa di cavalli, ideata dall’imprenditore e banchiere italiano Andrea Michele Dall’Armi, trasferitosi in Baviera all’età di 19 anni. Si trattava di un intrattenimento facente parte delle feste in onore del matrimonio tra il principe Ludwig e la principessa Therese, avvenuto cinque giorni prima, il 12 ottobre 1810. La corsa divenne una tradizione, e venne replicata ogni anno. Col tempo furono aggiunte nuove forme di intrattenimento, quali giostre, altalene, piste da bowling e lotterie i cui ricavati erano donati ai più poveri della città. Per veder protagoniste la birra e le prime rosticcerie bisogna aspettare il 1880: da allora, col passare degli anni, è diventata questa la miglior attrazione del festival, grazie ai litri e litri prodotti dai sei storici birrifici di Monaco. Paulaner, Spaten, Hofbräu, Hacker-Pschorr, Augustiner e Löwenbräu hanno infatti, anno dopo anno, spostato l’attenzione sulla birra, portando all’estinzione la storica corsa dei cavalli, che oggi non si svolge più.
Nel cuore del festival moderno: la birra
Entriamo dunque nel mondo che affascina tutti gli appassionati del moderno Oktoberfest: la birra. Ne esistono di diversi tipi, con varie gradazioni alcoliche e di colore, ed ogni suo vero degustatore sa benissimo quanto ogni birra abbia un sapore, anche sol minimamente, diverso dalle altre. Ingredienti come miele, frutta e spezie sono infatti in grado di dare spesso quei sapori e quegli aromi che rendono ogni birra unica e speciale. Ma alla base di ogni birra ci sono sempre quattro, fondamentali ingredienti: malto d’orzo, luppolo, acqua e lievito di birra. Particolarmente interessanti, dal punto di vista chimico, sono il primo e l’ultimo. Se l’acqua è il maggior costituente della bevanda, e il luppolo è responsabile del sapore amarognolo e fondamentale per la conservazione del prodotto infatti, malto e lievito sono coloro che danno il via alla fermentazione alcolica, ovvero a quel processo chimico senza il quale la birra non esisterebbe. Il malto è il risultato della macinazione e dell’essiccazione dell’orzo, ed è fondamentale grazie al contenuto di maltosio, un polisaccaride (cioè uno zucchero complesso) formato da lunghe catene di glucosio α, o da catene di glucosio α e β alternati. Il glucosio è un esoso, un glucide (o carboidrato, zucchero) formato da sei atomi di carbonio, in cui le forme α e β sono soltanto degli isomeri, la cui unica differenza è quella di avere il gruppo ossidrile OH del primo carbonio rispettivamente dallo stesso lato o dal lato opposto del gruppo CH2OH. Il fatto che il maltosio sia costituito da molecole di glucosio è fondamentale ai fini della produzione di birra: è infatti grazie a questo zucchero che può avvenire la fermentazione alcolica.
La fermentazione alcolica
La fermentazione è un processo che fa parte della respirazione cellulare, la quale a sua volta si divide in due classi: aerobica e anaerobica. I processi di respirazione cellulare hanno in comune la prima fase, detta glicolisi; successivamente a questa si differenziano in due diversi percorsi a seconda che il processo avvenga in presenza di ossigeno (aerobica) o in sua assenza (anaerobica). Il primo caso, che è tipico delle nostre cellule, prosegue con la decarbossilazione ossidativa e il ciclo di Krebs, mentre il secondo sostituisce queste due fasi proprio con la fermentazione, un processo che risulta molto meno produttivo dal punto di vista energetico. Perché avvenga la fermentazione, comunque, vi è la necessaria presenza di una molecola chiamata piruvato e di organismi in grado di svolgere una respirazione cellulare anaerobica. È proprio qui che i nostri due ingredienti, il malto e il lievito di birra, entrano in scena. Il piruvato, infatti, è il prodotto della prima fase della respirazione cellulare, e cioè, come abbiamo detto prima, della glicolisi. Ma perché a sua volta la glicolisi avvenga, vi è bisogno di glucosio, molecola che, come abbiamo detto, è il costituente del maltosio, ed è dunque notevolmente presente nel malto d’orzo. Durante la glicolisi, infatti, tramite una lunga serie di tappe che non staremo qui ad elencare, la molecola di glucosio si scinde in due molecole a tre atomi di carbonio che sono, appunto, il piruvato. Intervenuto con successo il malto però, i giochi non sono ancora fatti: se non intervenissero i lieviti (che ricordiamo essere viventi appartenenti al regno dei Funghi), non si avvierebbe la reazione di fermentazione. I lieviti sono esseri, infatti, in grado di svolgere la respirazione cellulare sia in presenza che in assenza di ossigeno, e nel caso della birra vengono forzati a intervenire in ambiente anaerobico. Può così finalmente avere luogo la fermentazione, che porterà alla produzione di anidride carbonica (CO2), responsabile delle bollicine e del frizzante della bevanda, e, soprattutto, di etanolo, che rende alcolica la birra.
In un tempo in cui siamo forzati a rimanere chiusi in casa, e in cui non potremo degustare i sapori dell’Oktoberfest, sembra poi davvero una cattiva idea, imparati i principi chimici, provare a produrre birra nelle proprie abitazioni?