Il film “Finalmente l’alba” è un viaggio nel mondo del cinema e nelle sue regole

Il film racconta l’incredibile esperienza della protagonista dentro Cinecittà e nel il mondo del cinema, delineando le sue caratteristiche democratiche ma, allo stesso tempo, estremamente gerarchiche.

Immagine presa dal trailer del film della 01 Distribution

La settimana scorsa è uscito al cinema il film “Finalmente l’Alba”, ultima opera del regista italiano Saverio Costanzo che, attraverso la storia della protagonista, racconta l’industria del cinema nella Roma del 1953, consentendo di assaggiare un pezzo di questo mondo incredibile e complesso.
Per chi non l’avesse ancora visto, attenzione agli spoilers!

L’ età dell’ innocenza

Le prime scene del film raccontano la vita di Mimosa, la protagonista: è una ragazza semplice, di famiglia popolare, che passa il suo tempo libero al cinema con la madre e la sorella, a vedere film hollywoodiani. Un giorno, fuori da una delle sale, un giovane ragazzo, attratto dalla bellezza della sorella maggiore, invita entrambe a un provino a Cinecittà, dove si sta girando un film kolossal di Hollywood, proprio con le star che hanno appena visto in pellicola. Il giorno seguente, all’ ingresso, il ragazzo che le aveva invitate la sera precedente le riconosce e gli fa saltare la fila, conducendole direttamente dietro la porta del teatro 5, dove si tengono i casting per le figurazioni. Mimosa rimane incredula, e infatti, chiede: “Ma non facciamo la fila?”
Il Cinema, però, non ha tempo per le code di persone, per le domande, e nemmeno per le esitazioni: le due ragazze fanno il provino una alla volta (saltando anche le altre donne in attesa col numero, che non fanno una piega) e, in sala casting, vengono spronate a togliersi la camicetta, come fosse cosa normale.
Senta signorina: le figurazioni donne sono nude, nell’antico Egitto era così. Solo le ancelle sono vestite, ma quello non è il vostro ruolo” le spiega, rapidamente, l’aiuto regia.
Lei non accetta queste condizioni, e quindi viene liquidata e accompagnata alla porta. Non ci sono vie di mezzo, non si può concordare un altro ruolo: o sei dentro, o sei fuori.
Mimosa, fin  dal primo momento si aspettava di non essere selezionata, e infatti era venuta più che altro per accompagnare la sorella. Quindi, un po’ turbata da quel mondo frenetico e un po’ pazzo, accetta serenamente la sua esclusione e si mette a cercare la sorella per dirle che la aspetterà fuori.

Immagine presa dal trailer del film della 01Distribution

Ruoli

Vagando alla ricerca della sorella, Mimosa si imbatte, casualmente, nell’attrice Josephine Esperanto, diva molto ammirata da lei: questa scena è una di quelle più significative di tutto il film, perché la ragazza timida e introversa, osserva incredula l’attrice che, vestita da regina egizia, le sfila davanti nutrendosi dell’ ammirazione e della mediocrità della ragazza.
Nell’incontro di sguardi tra le due, diventa evidente quanto il sistema cinematografico sia estremamente controverso. È, per certi versi, un sistema democratico: ad esempio, sul set, una delle prime regole che si imparano è che si usa “ dare del tu ” a tutti i membri della troupe, mentre è quasi maleducazione rivolgersi a qualcuno dando del “Lei” o del “Voi”, e anche quando lo si fa con gli attori più importanti, è consuetudine che questi chiedano di usare il “ tu” informale.
Come accade tra Mimosa e la Esperanto, il cinema consente a persone comuni e di bassa estrazione sociale, di venire in contatto con gli attori al vertice della carriera, di camminargli accanto e di lavorare gomito a gomito.

Allo stesso tempo, però, la distanza gerarchica tra l’attrice e la ragazza è incolmabile: Mimosa non è autorizzata a rivolgerle la parola, non può intralciare il suo passaggio. Era così nel 1953 ed è così ancora oggi, basti pensare che nei contratti che firmano le figurazioni è scritto nero su bianco che è proibito avvicinarsi e/o interagire con gli attori principali, a meno che non sia il regista o l’attore stesso a richiederlo.
Questo, ovviamente, serve a tutelare le star ed  evitare che siano  sommerse da richieste di autografi e foto, ma rimane un confine ben marcato e indelebile tra ruoli minori e ruoli importanti.
Nel film, dopo l’incontro con la Esperanto, Mimosa viene ingaggiata come stand-in (ndr- una figura che si trova di fianco alla macchina da presa per direzionare lo sguardo dell’attrice principale) solo grazie alla esplicita richiesta della diva, che chiede di prendere “la ragazza del corridoio” e fa licenziare un’altra che la “guardava strano”.

Anche il rapporto tra le star Hollywoodiane e i lavoranti Romani è oggettivamente gerarchico: nonostante gli Americani siano ospiti a Cinecittà e non si trovino nella loro terra nativa, nel film si atteggiano da padroni e riservano ai lavoranti locali i ruoli più umili. In una democrazia di forza lavoro che coinvolge tutti negli stessi orari lavorativi e negli stessi ambienti, la gerarchia dei ruoli, dal sapore colonialista, è molto ben delineata e invalicabile.

L’età della maturità

Dopo la fine delle riprese, la Esperanto regala a Mimosa un suo vestito rosso e, quando la vede camminare da sola cercando l’uscita, la invita a passare la serata con lei e con il divo americano Sean Lockwood.
Da quel momento, per Mimosa inizia un’ odissea di incontri incredibili e altri sgradevoli, che la emozionano ma anche la terrorizzano.
La diva Esperanto, ad esempio, la mette in una brutta situazione in cui lei non sa come comportarsi e, in quanto ragazza giovane ed ingenua, piange spontaneamente, suscitando una reazione di ammirazione negli intellettuali presenti alla festa.
Tutti gli spettatori, riconoscono la purezza della ragazza e ne sono commossi, ma non riescono a intuirne la naturalezza e, quindi, invece che aiutarla e farla tornare a casa, gridano alla performance artistica e le si accalcano per stringerle la mano.
La parte finale della serata si svolge a Capocotta, una località sul mare fuori Roma che, nel 1953, fu teatro di un fatto di cronaca nera: fin dall’inizio del film, è esplicito il riferimento alla vicenda del caso Wilma Montesi, come se il regista stesse cercando di avvertire la protagonista del suo stesso film, dei pericoli che questo mondo può portarla a incontrare.
Costanzo, al Festival del Cinema di Venezia, raccontava:

“ Inizialmente volevo scrivere un film sull’omicidio della giovane Wilma Montesi, avvenuto nell’Aprile del 1953, che rappresentò per l’Italia il primo caso di assassinio mediatico. Poi, come accade spesso scrivendo, l’idea iniziale è cambiata e, piuttosto che far morire l’innocente, ne ho cercato il riscatto.”

Verso la fine del film, Mimosa, ritornando verso Roma all’alba, si imbatte in una croce infilata nella sabbia della spiaggia su cui fu ritrovato il cadavere della ragazza, come fosse un memoriale.
In questo commovente piano sequenza, la protagonista ( e anche tutti gli spettatori  del film ) realizza di esser stata molto fortunata a uscirne viva, e che l’industria cinematografica può essere molto generosa, ma anche crudele e violenta se non si conoscono le regole e non si gioca la partita in maniera intelligente. Nell’ultima scena del film, Mimosa si avvia verso casa, ma incontra la leonessa scappata da Cinecittà che aveva terrorizzato la città per tutta la notte: invece che finire sbranata dall’animale, Mimosa le cammina accanto, portandosi dietro, allegoricamente, una maturità e una consapevolezza che le peripezie vissute a Cinecittà le hanno insegnato.

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