Il “mal d’amore” esiste? Rispondono Saffo, Catullo e Claudio Baglioni

L’amore talvolta può essere motivo di grande sofferenza. Nel corso dei secoli numerosi poeti, artisti e cantanti hanno descritto l’amore non ricambiato come fonte di dolore. Possiamo parlare di una vera “sintomatologia” dell’amore?

Baglioni in concerto a Campovolo (Flickr)

Amore disperato di Nada, Guasto d’amore di Bresh e la Canzone dell’amore perduto di Fabrizio de André sono solo alcuni dei centinaia di brani che trattano della tematica dell’amore doloroso. L’arte, da diversi secoli a questa parte, è stata il principale strumento che l’uomo ha utilizzato per descrivere il malessere causato dall’amore. Già nel mondo antico i poeti avevano descritto una vera e propria sintomatologia d’amore che, ancora oggi, riecheggia nelle note di Claudio Baglioni.

Saffo: l’amore che sconvolge il corpo

Sotto il nome di Saffo ci sono giunti più di duecento frammenti ordinati e studiati dai filologi alessandrini. Saffo (VII-VI sec. a.C.) è la prima poetessa che figura nell’orizzonte letterario greco: ella, nativa dell’isola di Lesbo, era alla guida di un tiaso, ossia di una comunità educativa e rituale per le giovani ragazze che si apprestavano ad entrare nella vita adulta. Il fine precipuo del tiaso era di stampo pedagogico e consisteva nell’accompagnare le adepte istruendole sui vari aspetti della relazione coniugale e familiare: un elemento importante era costituito dall’educazione all’amore (oggi diremmo “all’affettività”) con cui le giovani venivano preparate alla vita di coppia che le attendeva. Certamente, all’interno di questo panorama educativo, avevano un posto di rilievo anche la pratica dell’omosessualità e dell’erotismo come momenti formativi della giovane donna. Saffo, probabilmente, svolgeva un ruolo di leader carismatica e religiosa all’interno del tiaso. Dai frammenti di Saffo che ci sono pervenuti uno in particolare (fr. 31 Voigt) è considerato un prospetto della sintomatologia d’amore. Esso, conosciuto anche come “Ode della gelosia” si compone di strofe saffiche e descrive le sensazioni che la poetessa prova quando vede una scena di corteggiamento tra un uomo e una donna. Il frammento, a partire dalla seconda strofa, enumera le reazioni fisiche di cui è preda Saffo:

E questo il cuore mi fa scoppiare in petto: […] non mi esce un solo filo di voce, ma la lingua è spezzata, scorre esile sotto la pelle subito una fiamma, non vedo più con gli occhi, mi rimbombano forte le orecchie, e mi inonda un sudore freddo, un tremito mi scuote tutta, e sono anche più pallida dell’erba, e sento che non è lontana per me la morte.

La poetessa descrive in modo veramente icastico i sintomi di un forte turbamento interiore dettato da una scena amorosa. Se dovessimo utilizzare un linguggio medico potremmo dire che la malattia d’amore per Saffo causa:

  1. Palpitazioni e tachicardia (il cuore mi fa scoppiare)
  2. Afasia (non mi esce un solo filo di voce / la mia lingua è spezzata)
  3. Vampate di calore (scorre esile […] una fiamma)
  4. Offuscamento della vista (non vedo più)
  5. Ipoacusia (mi rimbombano forte le orecchie)
  6. Sudore (mi inonda un sudore freddo)
  7. Tremito (un tremito mi scuote)
  8. Pallore (sono anche più pallida dell’erba)
  9. Sensazione di morte (non è lontana […] la morte)

Da questi sintomi sembra che la poetessa stia descrivendo una crisi d’ansia o, come hanno sostenuto alcuni studiosi, un attacco di panico dettato da un forte sconvolgimento emotivo. Il trattato anonimo antico Sul sublime commenta questi versi saffici mettendo in luce come sia ben descritto l’annichilimento causato dall’amore che scombussola il corpo nella sua totalità, annullando le percezioni dei sensi e assoggettando l’individuo alla passione.

Affresco pompeiano di giovane donna, comunemente dette “Saffo” (Wikimedia)

L’otium molestum di Catullo

Gaio Valerio Catullo (I sec. a.C.) è stato un poeta romano della tarda Repubblica. Egli è considerato il corifeo di quella schiera di “poeti nuovi” (espressione di Cicerone) che, inserendosi nella tradizione letteraria alessandrina, trasfusero a Roma il gusto per una poesia raffinata, breve, colta ed erudita. Catullo è comunemente conosciuto per il suo amore non corrisposto nei confronti di Lesbia (pseudonimo per Clodia, la sorella del tribuno della plebe Clodio). Il poeta ci ha lasciato una rielaborazione dell’Ode alla gelosia di Saffo: si tratta del celeberrimo carme 51 in cui Catullo, innovando la descrizione della malattia d’amore della poetessa di Lesbo, introduce alcuni elementi di novità, soprattutto nella parte finale. Il poeta dice:

cosa che a me infelice completamente ha sottratto i sensi: […] ma la lingua si paralizza, tenue sotto le membra scorre una fiamma, le orecchie ronzano di un suono interno, entrambi gli occhi si coprono di tenebre. L’ozio, o Catullo, ti è dannoso: per l’ozio ti esalti e troppo ti agiti: l’ozio ha mandato in rovina re e città un tempo ricche.»

Ad un primo sguardo si noterà subito come, in linea di massima, l’impianto saffico è rispettato e i sintomi del mal d’amore sono pressoché gli stessi. Risulta interessante, però, notare come Catullo utilizzi dei termini diversi per descrivere le reazioni fisiche dell’innamorato: Dice infatti che:

  1. l’amore “eripit sensus” (“mi ha sottratto i sensi”) in cui il verbo eripio (composto da ex + rapio “rapire”) ha qui il valore di “strappare, portare via con la forza” ad indicare come l’azione dell’amore sia violenta per l’uomo;
  2. la lingua “s’intorpidisce” (torpet) sfumando il concetto saffico per cui la lingua “si spezza” (forse, in questo caso, non possiamo parlare di una vera afasia ma, piuttosto, di balbuzie o di una lingua impacciata);
  3. “gli occhi si coprono di tenebre”, che in latino suona gemina teguntur / lumina nocte, è espressione che condensa l’annebbiamento della vista e l’idea della morte che copre con il buio della notte la luce.

L’ultima strofe di Catullo introduce l’elemento di novità: l’otium risulta essere il vero motivo che porta il poeta a questa sofferenza. L’otium è qui inteso come “inattività” da parte di Catullo che, crogiolandosi nei suoi pensieri d’amore, viene risucchiato in un vortice di passione che culmina con la sensazione di morte di cui Saffo aveva già parlato.

Il “mal d’amore” di Cladio Baglioni

Era possibile scegliere diverse canzoni che trattassero questo tema ma, forse, mal d’amore di Baglioni riassume sin dal titolo gli argomenti che abbiamo trattato. Egli introduce anche un altro sintomo di questo forte dissidio interiore quando paragona l’amore ad un cane che affonda i denti nella carne e non lascia la preda: così il sentimento attanaglia il cuore degli innamorati e, una volta insediatosi, non li lascia più. Il cantautore romano, quasi alla fine di un’immaginaria successione di artisti che hanno parlato dei sintomi d’amore, dice molto chiaramente:

E la domanda finale / è se hai più gioia o pene / se sia più miele o sale / se un bene può far male / e un male fare bene / se conviene il male

Questi versi, che non hanno bisogno di particolari parafrasi, pongono però un’importante questione: come può un sentimento così puro e positivo come l’amore causare tanta sofferenza? E ancora: alla luce di questo dolore, conviene essere innamorati? La malattia d’amore colpisce con tutta la sua forza colui o colei che sono in balia di questo sentimento: forse, in fin dei conti, le reazioni fisiche che proviamo quando siamo innamorati mettono a nudo la grande fragilità della nostra persona che, nonostante riesca a dimostrarsi forte e solida di fronte alle avversità della vita, perde totalmente le proprie facoltà quando incontra la persona amata.

Non sappiamo se e quando la medicina potrà fornire dei farmaci o degli infusi contro la malattia d’amore ma il poeta latino Ovidio, nel primo libro delle Metamorfosi, dice espressamente:

nullis est amor sanabilis herbis

Non c’è amore che si possa guarire con le erbe

Ovidio non ci lascia ben sperare.

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