Il pessimismo alla fine degli anni dieci del XXI secolo: siamo davvero così leopardiani?

Un’indagine condotta da Acsi-Ipsos rivela che il 39% degli italiani teme una nuova crisi simile a quella del 2008. parliamo di “pessimismo”?

“L’ottimismo è il profumo della vita”, che questo aforisma lo si associ a qualche poeta laureato o ad uno spot anni zero, il senso non cambia: il fattore “ottimismo” può dare un sapore molto più gradevole all’esistenza.

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La funzione sociale dell’ottimismo

Fior di teorici si sono sbizzarriti su questo tema: basti pensare al trattato di Martin Selingman, docente presso l’università della Pennsylvania ed ex presidente della American Psycological Association, del 1991. L’ottimismo da all’individuo una una marcia in più.

Ma non è l’individuo il soggetto che prenderemo in esame oggi. Oggi parliamo di ottimismo nella società: quindi la parola passa dagli psicologi ai sociologi, storiografi ed economisti.

Innanzitutto precisiamo che l’ottimismo (così come il pessimismo) sono possibili solo in una società secolarizzata – e a tratti storicista – come quella contemporanea. In una società escatologica, come ad esempio quella medievale, gli individui interpretano il tempo come immutabile, sempre e ciclicamente uguale a se stesso.

Domenico Battaglia – Contadino coi buoi in sosta

Un paradigma utilizzato da diversi studiosi della contemporaneità vede la civiltà occidentale di metà novecento come una delle più ottimiste della storia: un ipotesi accattivante se si considera che l’Europa usciva da due devastanti conflitti, la guerra fredda impazzava ed il tasso di benessere era sensibilmente inferiore a quello degli inizi del 2000.

Eppure a sostenere questa ipotesi c’è un dato assolutamente significativo. A metà novecento si mettevano al mondo figli: non a caso la generazione nata tra il 1945 ed il 1965 è detta “Baby Boomers” .

Crescita e benessere

l’ottimismo è anche il motore dell’economia occidentale: per funzionare il capitalismo ha bisogno che la “ricchezza” diventi “capitale”, cioè che ogni risorsa non venga detenuta ma immessa sul mercato (leggi: investita), in un circolo virtuoso dove i risultati producono ottimismo e l’ottimismo produce risultati.

Il paradosso di questa storia è che nonostante tutti gli indicatori di benessere siano aumentati ci troviamo in una civiltà sempre più pessimista: emblematico a tal proposito è l’esempio del Giappone, che è il paese con maggiore accelerazione di Pil dal dopoguerra ad oggi ma è anche uno dei paesi con il più alto tasso di suicidi.

Che fine ha fatto, dunque, l’ottimismo dei “Baby Boomers” tanto importante per il nostro benessere?

Ottimismo e pessimismo oggi

Il percorso di crescita economica non è stato lineare, ha subito diverse botte d’arresto. Tra le più importanti la crisi petrolifera del ‘73, la recessione della Gran Bretagna tra la fine degli anni settanta e l’inizio degli anni ottanta, e, ovviamente, le due grandi crisi mondiali del 2008 e del 2011.

Tutto cominciò dai finanziamenti della Lehman Brothers

Situazioni da cui, ogni cittadino occidentale, è rimasto più che scottato, e le grandi scottature non possono che generare traumi e fantasmi. E forse sono proprio questi spettri ad aver spinto il 39% del campione oggetto dello studio della Acri-Ipsos a dichiarare di temere una nuova crisi finanziaria come quella del 2008.

dal pessimismo cosmico al pessimismo economico è un’attimo!

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