Qual è il limite del potere di Internet e cosa esso rappresenta al giorno d’oggi? Il digitare, il creare frasi, il gettare parole su uno schermo, è forse diverso dal normale parlare quotidiano? Questi sono i dilemmi che attanagliano la società odierna e l’attuale morale. Molti paiono essere fortemente convinti che le frasi fatte di codice binario non abbiano il medesimo valore di quelle create da penna ed inchiostro. Si crede che le prime non siano reali, bensì virtuali, oltre che nell’aspetto, anche nell’essenza. E che non possano in nessun caso andare a modificare il sottile equilibrio di quel mondo non racchiuso nell’universo di un pc.
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L’esperienza insegna che, però, non è quasi mai così. L’effetto domino che può partire da una finestra online e vedere la sua fine nell’emotività di una qualunque persona non si differenzia, nella maggior parte dei casi, a quello che nasce da una semplice emissione di voce. Il bullismo in rete ne è uno spiacevole esempio. Commenti postati su un social network possono portare alla stessa acre conseguenza che un insulto lanciato tra i banchi di scuola. Allo stesso modo, un commento sotto un post di Facebook può far scattare una denuncia. E ancora, al contrario, come una chiacchiera da bar, una frase di accusa può essere considerata come un semplice punto di vista.
Un bar chiamato Internet
A Trento, alcuni vigili erano intenti a multare degli automobilisti che stavano sostando all’ingresso di una scuola. Da questo è nato un post sul noto social network americano, che ha fatto nascere numerosi commenti, alcuni anche offensivi verso le forze dell’ordine. Tra tutti, ne spicca uno: ‘I vigili vanno bruciati vivi con la benzina…feccia‘. L’autore della scritta è finito in tribunale. Secondo il giudice di primo grado, l’utente avrebbe commesso reato di diffamazione aggravata, con successiva pena pari a venti giorni di reclusione e risarcimento di 2500 euro al Comune della città.
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Il giudice della Corte Suprema ha però ribaltato la situazione, assolvendo totalmente l’imputato. La motivazione è semplice: l’accusa lanciata da quelle parole di fuoco corrisponderebbe alle vecchie ‘chiacchiere da bar‘ verso un’intera categoria di persone, non paragonabili ad una diffamazione. Quello spiacevole commento non sarebbe altro che un’opinione personale espressa in modo ‘poco elegante’, come quelle che si vedono sui muri delle città.
Internet avrebbe dunque rimpiazzato quello che una volta rappresentava il bar. Un luogo senza censure con, secondo la corte, memoria breve, ampia portata ed, insieme, potenza offensiva ridotta. In questo caso, dunque, la rete sarebbe solo un riflesso del mondo sociale. Un salto da fonte di conoscenza a pozzo di sfogo.
Ma un bar… all’aperto
Conseguenza ben diversa c’è stata per la mamma ‘no vax’ che, su Facebook, si vantava di star riuscendo a imbrogliare la scuola materna frequentata dalla figlia. Ogni anno, infatti, la donna bresciana scannerizzava lo stesso documento della ASL, cambiandone la data, per evitare di far vaccinare la bambina. E poi lo consegnava alla scuola.
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La donna, dopo gli avvertimenti di migliaia di utenti rivolti alla scuola, è stata denunciata ai carabinieri. Per lei le conseguenze della rete sono state poco virtuali, al contrario le si sono presentate molto reali. Questo episodio sembra suggerire che le parole su Internet siano più fisiche di quello che si crede. Forse l’online ha meno limiti di quello che si immagina e non è poi così protetto dal mondo, quello vero, che ci circonda. Se volessimo far reggere la metafora del bar, sicuramente sarebbe un bar a cielo aperto.