Popolo dall’immagine morigerata, in Occidente abbiamo sempre creduto che i cinesi non si insultassero mai. Vediamo insieme come un cinese chiama coglione quel collega che proprio non può sopportare.
Su TikTok @franlizzie ha iniziato una nuova rubrica su come si insulta in cinese, dando vita ad un potentissimo mix di simpatia, cultura e lo humour classico della Generazione Z. Ma vediamo insieme come si insultano i cinesi fra di loro e cosa rispondere al bigliettaio maleducato sulla Grande Muraglia.
Il mandarino maleducato
In arte @franlizzie (su Instagram e TikTok), Francesca, laureatasi lo scorso Ottobre all’Università Ca’Foscari di Venezia in Lingue, Culture e Istituzioni dell’Asia e dell’Africa Mediterranea, si è fatta portavoce di tutti noi poveri studenti di cinese stressati attraverso video, rubriche e tutti quei meme che fanno ridere soltanto noi appartenenti alla Generazione Z.
Che siamo studenti di cinese o meno, ognuno di noi, almeno una volta nella vita, ci siamo posti – o ci è stata posta – la domanda su cosa si dicono i cinesi quando ne hanno piene le scatole. A questi quesiti ha risposto Francesca che su TikTok ci racconta con dovizia di particolari, che un cinese, per dire “basta, mi hai rotto i coglioni”, dice 烦死了,滚开 (Fán sǐle, gǔn kāi), con una grazia e un umorismo che non si imparano. Così brave -e bravi- ci si nasce, non si diventa.
“Che la vostra prole nasca senza ano”
Ogni studente di lingue straniere lo sa, la prima cosa che si apprende in una lingua straniera sono le parolacce. Subito dopo aver imparato a salutare e a dire il proprio nome, infatti, ogni apprendente di lingue straniere che si rispetti fa una ricerca: “come si dice coglione in lingua x”.
Strane, molto spesso impronunciabili, ma esemplificative della storia e della tradizione culturale di ogni Paese, alcune parolacce sono universali. Ma da sinologa napoletana mi rendo conto che se mi sto arrabbiando con il fruttivendolo di Tianjing perché non capisce che non voglio le banane ma le mele, non posso dirgli “chitemmuorto”. E allora mi devo ingegnare. Ed ecco che allora gli sgancio un 我咒你生孩子没屁眼( wǒ zhou nǐ shēng haizi méi pìyǎn ), letteralmente “ti auguro che la tua prole nasca senza ano”, per augurare al povero fruttivendolo e a tutti i suoi figli un gran bel futuro di merda.
Da italiana so che napoletani e veneti se la giocano con le imprecazioni, ma nemmeno i cinesi scherzano.
狐狸精( Húlíjīng ), ad esempio, significa letteralmente “spirito di volpe”. Nato nel diciottesimo secolo, questo insulto si rifà alla tradizione letteraria di “donne volpi” raccontateci come spiriti malvagi, prostitute, mangiatrici di uomini e gold diggers. Ad oggi, una 狐狸精 è una puttana.
“A forchett rind ‘o bror”, insulto napoletano per dire a qualcuno che è inutile, ha un proprio corrispettivo cinese. Se ad esempio voglio dire al mio amico cinese che, piuttosto che aiutarmi al ristorante si è goduto tutta la scena di me che indicavo le immagini sul menù del ristorante cinese, che è un inutile buono a nulla, lo chiamerò 饭桶 (Fàntǒng ), “pieno di minestra, buono a nulla”.
I cinesi, poi, sembrano avercela particolarmente con le uova.
Uno 坏蛋( Huàidan ), ad esempio, è un uovo rotto, ma è anche un bastardo.
混蛋 (Húndàn), invece, significa “uovo strapazzato”, anche questa significa “bastardo”. Lo 傻蛋 (Shǎdàn), invece, è uno stupido, letteralmente è uno stupido uovo. In ultimo, uno 乌龟王八蛋( Wugui wángbā dàn ) è un figlio di puttana.
Non ti impreco i morti, ma i parenti che non sono ancora venuti
Essendo le imprecazioni profondamente radicate nella tradizione di un popolo, queste, ovviamente, si plasmano anche sulle credenze, la cultura e su ciò del quale le persone hanno un profondo rispetto. Se a Napoli un “chitebbivo”è preferibile a un “chitemmuorto”, in Cina dei morti si ha così tanto rispetto che un insulto a loro sarebbe impensabile (tranne se non si è veramente arrabbiati, in quel caso tutto è lecito in guerra e in amore).
Ma niente panico, perché i nostri amici orientali non si sono comunque risparmiati dal mettere in mezzo le famiglie (e anche gli animali domestici).
Fra gli insulti e le maledizioni più clamorose (e divertenti), annoveriamo:
蠢猪 (Chǔn Zhū ), letteralmente “stupido maiale”, deficiente;
操你祖宗十八代 (cào nǐ zǔzōng shiba dai ), fanculo i vostri antenati per diciotto generazioni (livello di arrabbiatura: Pompei 79 d.C.);
操你妈了个逼 (cào nǐ māle gè bī ) , fanculo, la vagina di tua madre (per gli amici napoletani: “a fess e mammeta è universale);
咒你祖宗十八代,子孙三十八代 (Zhòu nǐ zǔzōng shíbā dài, zǐsūn sānshíbā dài ) Maledico i vostri antenati per 18 generazioni e la tua discendenza per altre 38;
咒你小鸡鸡烂掉 (wǒ zhou nǐ xiǎo jī jī lan diao), che letteralmente significa “Maledico le tue piccole gallinelle affinché abbiano la diarrea”.
Il linguaggio universale della rabbia
La linguistica ci racconta che la lingua che parliamo crea la realtà che ci circonda. E, a seconda della maniera nella quale la sperimentiamo, la nostra lingua ci fornirà delle espressioni che ci aiutano a descriverla, a crearla.
Gli eschimesi, ad esempio, hanno cinquanta modi diversi di descrivere la neve, a seconda della forma, del colore, della consistenza, perché la loro realtà é innevata. I siciliani, invece, da secoli lottano per “arancine” e “arancini”, poiché i primi somigliano alle arance, mentre i secondi sono timballi più appuntiti. Il napoletano, invece, lo chiama “pall e ris”, perché é effettivamente una palla fatta col riso.
Ma, a prescindere dalla maniera diversa nella quale ogni lingua e dialetto descrive la realtà, il minimo comun denominatore di ognuna di queste è rappresentato dalle parole della rabbia, che sono diverse, ma tutte volte alla rappresentazione di un sentimento che è universale, perché, ricordiamolo sempre che la mamma degli stupidi è sempre incinta, che sia in Italia, in America o in Cina.