A distanza di dieci anni dall’attentato terroristico, riflettiamo sull’importanza della satira.
Il 07 gennaio 2015 due estremisti islamici attaccarono la redazione del settimanale satirico francese “Charlie Hebdo“ a Parigi, uccidendo 12 persone, tra cui vignettisti di spicco. L’attentato fu motivato dalla pubblicazione di vignette considerate blasfeme riguardanti Maometto. L’episodio suscitò un’ondata di solidarietà globale, simbolizzata dallo slogan “Je suis Charlie”. Tale slogan simboleggiava non soltanto un atto di solidarietà, ma anche vicinanza e identificazione con le vittime. La vera vittima non erano tanto i vignettisti, quanto la libertà di espressione, soprattutto dal punto di vista satirico. La satira, infatti, gioca proprio su questo sbilanciamento di potere.
Un’amara risata
In una società moderna come quella che stiamo vivendo, è impossibile non riflettere su alcuni giochi di potere e alcune ingiustizie legate a questo fatto. La satira è uno strumento molto forte che ci consente di rifletterci su facendoci anche una risata amara. Essa è in grado di ribaltare gerarchie e convenzioni, mettendo a nudo le contraddizioni della società e i limiti del potere. È un’arma intellettuale che, attraverso l’ironia, colpisce ipocrisie e ingiustizie, offrendo uno spazio di libertà e riflessione. La satira non si limita a far ridere, ma scuote coscienze, stimola il dibattito e invita al cambiamento. Non si tratta di puro umorismo o di una becera risata goliardica. Censurarla significa soffocare una voce critica essenziale, privando la società di uno strumento capace di affrontare tabù e squilibri con intelligenza e coraggio. Ancor più assurdo sarebbe il tentativo di censura nel paese europeo che più di tutti si è immolato per la libertà di espressione. Anche ai tempi dei romani la satira era un veicolo di critiche alla società e al potere. C’erano precauzioni allora, poiché non vi era la stessa libertà di oggi.
Un piatto saturo
La satira ha origini classiche. Se si pensa alla critica della società e del potere, allora possiamo collocare l’inizio sino alle opere teatrali greche. Ad esempio, il teatro comico di Aristofane aveva proprio l’intento di criticare alcuni aspetti della società. Solamente con l’età romana, però, la satira diventa un genere letterario. Diventa conosciuto come genere grazie ad Orazio, Giovenale e Persio, ma già poeti come Ennio e Lucilio l’avevano reso un genere letterario ironico e critico. Si trattava di un genere di denuncia e di sfogo personale verso gli aspetti più grotteschi della società del tempo. Il termine “satira” indica proprio la vastità di argomenti che questo genere letterario poteva toccare. Nell’età classica esistevano infatti generi letterari per descrivere le “cose alte” e un genere per le “cose basse”. La satira includeva molteplici argomenti. Si poteva parlare quindi di “satura lanx”, ovvero “piatto pieno, saturo”. Chiaramente, è importante sottolineare che esistevano più rischi e censure nell’età romana, per cui era doveroso, per gli autori, essere attenti all’argomento trattato.
Un’idea non si uccide
Nel 2015, a seguito dell’attentato a Charlie Hebdo, divenne molto celebre la frase “puoi uccidere un uomo, ma l’idea sopravvivrà”. Il messaggio è forte e chiaro. Non siamo più ai tempi dell’antica Roma. In quel contesto, dire qualcosa di troppo eccessivo comportava come minimo la censura, ma si poteva rischiare anche la morte o la damnatio memoriae. L’idea, però, si diffonde molto più rapidamente della violenza che essa stessa subisce. Gli attentati, come quello a Charlie Hebdo, mirano a soffocare la libertà di espressione e il pensiero critico, ma spesso ottengono l’effetto opposto: amplificano il messaggio che volevano distruggere. Le idee non si limitano alla persona che le esprime: una volta diffuse, entrano a far parte del patrimonio collettivo, ispirando altre voci e alimentando il dibattito pubblico. Uccidere un uomo non può spegnere un ideale, perché le idee si nutrono della condivisione e della memoria. Ed ecco che, a 10 anni dall’accaduto, siamo ancora a ricordare l’importanza di far resistere la satira.