La depressione ha una struttura interpersonale? Scopriamo perché può essere curata con il contatto fisico

Una nuova ricerca mostra che il contatto fisico può alleviare i sintomi della depressione. Scopriamo con Ratcliff perché questo è possibile.

In un universo atomistico come quello tipico della nostra epoca, ognuno è solo sulla faccia della Terra. Questo non nega il ruolo che i legami interpersonali giocano nella costituzione dell’individuo, ma  semplicemente mette in luce come ognuno sia, in sostanza, relegato a sé stesso. Nel caso di alcuni disturbi mentali, quali la depressione, questa solitudine diventa annichilente ed estraniante.

Affrontarla da soli

Il Manuale Diagnostico dei Disturbi Mentali (conosciuto come DSM) descrive le diverse patologie come disfunzioni proprie del singolo. In questo senso, la causa può essere interpersonale e, dunque, legata a un trauma, ma viene accompagnata dalla convinzione che, tutto sommato, sia la reazione del soggetto ad uno specifico evento ad aver generato il disturbo.

Nel percorso di terapia, l’individuo è solo con sé stesso, a fare i conti con i propri demoni e la propria patologia. L’idea soggiacente è che il problema è di colui affetto dal disturbo e che, per quanto chiunque possa stargli vicino, quest’ultimo è responsabile della cura. Il cambiamento è interiore e dipende solo da lui.

Questo genera la convinzione che a dover cambiare non sia il mondo, ma il modo in cui l’individuo vi si approccia. Nel caso della depressione, si deve modificare l’esperienza che il paziente fa del proprio sé e della propria malattia. Non solo, si pretende che il singolo torni a guardare alla vita con rinnovato entusiasmo, facendo lentamente svanire da dentro il grigiore della propria patologia.

Gli aspetti interpersonali della depressione

Nonostante questo sia il modo più diffuso di interpretare il disturbo, non è l’unico. Diverse sono le proposte, al giorno d’oggi, per tentare di interpretare la depressione in modi inediti, che ne tengano in considerazione gli aspetti interpersonali.

Infatti, la depressione viene descritta come caratterizzata da un’isolamento sociale che l’individuo esperisce come consequenza dei propri sintomi. Secondo Matthew Ratcliffe, questo isolamento non è una delle cause della depressione, ma parte della sua stessa costituzione. Gli individui che ne sono affetti vivino nella totale impossibilità di comunicare agli altri il proprio stato emotivo, nell’incapacità di trovare parole adatte ad esprimere il proprio disagio.

Ratcliffe sottolinea che non è difficile pensare a una persona affetta da depressione che passa del tempo circondata dai propri amici e dai propri cari. Al contrario, è complicato dare per scontato che essa abbia con queste persone intessuto dei legami profondi. La depressione priva i singoli della possibilità di relazioni valide e complete. In un certo senso, a mancare è la possibilità che possano instaurarsi un certo tipo di relazioni interpersonali.

Questo divide l’esperienza degli individui che soffrono di questo disturbo da quelli che non lo sono, rendendo impossibile per questi ultimi capire le lotte dei primi per instaurare relazioni significative. In altre parole, la depressione è, secondo Ratcliffe, dovuta all’incapacità di intessere alcun tipo di legame che possa contribuire a curare questa patologia.

Un nuovo possibile trattamento

Per il filosofo, curare la depressione senza considerarne gli aspetti interpersonali si rivela una sfida ardua. Riinstaurare nei pazienti la certezza che le connessioni con altre persone siano non solo possibili, ma anche già esistenti, diventa la sfida di ogni terapeuta.

Questo è stato recentemente confermato da un recente studio condotto dal  Social Brain Lab dell’Istituto olandese di neuroscienze ad Amsterdam. Per leggerne di più potete consultare il sito: https://www.ansa.it/canale_scienza/notizie/biotech/2024/04/09/il-contatto-fisico-riduce-ansia-depressione-e-dolore-_0a5073ce-048a-4e03-96be-5d09d3f1562e.html. Il contatto fisico sembrerebbe ridurre depressione, ansia e stress, confermando così che la presenza di un quadro interpersonale possa essere utile anche nell’investigare altri disturbi.

Inoltre, la ricerca conferma che per alleviare i sintomi non è necessario il contatto umano, ma unicamente il contatto fisico in genere. Nonostante una coperta o un robot siano sufficienti, i benefici arrecati dal contatto dei nostri simili si dimostrano, ad ogni modo, superiori.

Ciò che emerge da questo quadro è una nuova potenziale direzione in cui dovrebbe indirizzarsi la psicologia, tenendo in conto il ruolo dei fattori sociali nella formazione e nella cura dei disturbi mentali. Una nuova tendenza di cui tutti dovremmo prendere atto, per tenere sempre a mente l’impatto positivo o negativo che ogni nostra azione può avere nelle vite altrui.

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