“La generazione rubata” ci racconta del genocidio culturale degli Aborigeni australiani

In Occidente non se ne sente mai parlare, ma è una delle tragedie più grandi che l’umanità ha vissuto (e che probabilmente sta ancora vivendo): la generazione rubata in Australia.Scommetto che la maggior parte di voi non ha idea di cosa significhi il termine “generazione rubata“. In effetti, non lo sapevo nemmeno io fino a qualche tempo fa, quando mi sono imbattuta in questa storia che ha dell’incredibile. Ambientata in Australia, tra la fine del ‘700 e la fine degli anni ’90 (ma alcuni dicono che ancora oggi ci siano degli strascichi), la tragedia della generazione rubata tormenta la coscienza del mondo “bianco”, anche se fatica a venire a galla.

Il fenomeno della generazione rubata

Ma facciamo un passo indietro: a cosa ci riferiamo quando diciamo “generazione rubata“? Stiamo facendo riferimento a un processo inumano di distruzione della cultura aborigena, consistente, in poche parole, nel prendere i bambini indigeni dai loro genitori e dall’inserirli in chiese o in famiglie bianche e colonizzatrici in Australia. Questo si verifica fin dalla prima colonizzazione dell’isola, a fine del ‘700, ma è diventata una normalità, con tanto di leggi che ne garantivano la legittimità, nella prima metà del ‘900. Il governo australiano è diventato quindi colui che deportava minorenni aborigeni dalle proprie famiglie, strappandoli a loro nelle proprie case o nel tragitto per andare a scuola. Tutto questo perché credevano fosse una loro missione in quanto più evoluti e che il processo sarebbe poi stato un bene per i bambini.

Le ideologie del genocidio

Dapprima, la logica dietro alla generazione rubata era quella di assorbire gli aborigeni all’interno della società bianca australiana. Alcuni esperti demografi avevano predetto che, essendo gli aborigeni una razza inferiore, si sarebbero presto accorpati ai bianchi, estinguendosi alla metà del Novecento. Ovviamente non è stato così, quindi viene adottata l’ideologia dell’assimilazione. Dotandosi infatti di nozioni come quella di darwinismo sociale, che era allora anche alla base del nazismo, il governo australiano ha cambiato strategia. Gli aborigeni non dovevano più fondersi ai bianchi attraverso matrimoni e figli, ma dovevano essergli tagliati i rami. Ecco perché prelevare i loro figli in maniera del tutto fittizia e rieducarli in chiese e famiglie bianche. In questo modo, loro non avrebbero ricordato niente della loro tradizione aborigena e sarebbero cresciuti credendo di essere bianchi.

La disumanizzazione e il genocidio

Ma come si è arrivati a tanto? Il primo passo è stato quello di disumanizzare la società aborigena. E’ stata infatti descritta dai bianchi come selvaggia, animalesca, sporca, lurida, incline a sesso promiscuo, abuso di alcool e di stupefacenti. Dopo averli considerati come germi, virus e batteri infestanti, oltre che animali selvaggi, è occorsa l’idea che assorbirli nella società bianca fosse quindi giusto, dato che loro valevano di meno. In seguito è arrivata invece la consapevolezza che per assorbirli davvero, si sarebbe dovuto procedere con un’estirpazione alle radici. Ciò ha portato a un vero e proprio genocidio culturale, in cui un’intera cultura ha rischiato di andare perduta per sempre perché considerata inferiore, non degna di essere portata avanti. Una vergogna, per cui lo stato australiano non si è scusato fino a tempi recentissimi.

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.