La ricerca qualitativa comprende un insieme di tecniche utilizzate in ambito psicologico e sociologico senza l’ausilio di formule, modelli matematici e/o statistiche.
Negli anni ’60 si mostrò necessario giustificare, di fronte alla comunità scientifica, i motivi che portavano alla scelta di un modo di fare ricerca diverso rispetto quello della ricerca quantitativa.
L’obiettivo dei ricercatori era trovare un metodo nuovo che permettesse di essere adattato all’oggetto in studio (e non viceversa), che desse più rilevanza al punto di vista dei partecipanti e che permettesse di elaborare teorie a medio raggio piuttosto che teorie universali.
Il primo scetticismo (ancora presente) si è manifestato negli anni con un attacco ai fondamenti metodologici della ricerca qualitativa proveniente dall’evidence based research movement.
Cerchiamo di vederli insieme:
I fondamenti metodologici della ricerca qualitativa
I criteri più importanti da seguire nella ricerca qualitativa sono:
- la produzione di documentazione empirica;
- il ricorso all’interlocuzione (partecipazione o intervento in un dialogo);
- e la consapevolezza (e l’utilizzo) della perturbazione osservativa (quando i soggetti coinvolti nello studio sono consapevoli delle attenzioni rivolte loro) o interattiva (la semplice presenza del ricercatore induce alterazioni).
Da questi 3 criteri si delineano 4 famiglie di tecniche nella ricerca qualitativa.
La prima è lo Shadowing, ovvero seguire la persona oggetto di ricerca per osservarne ogni comportamento. Per lo shadowing si applicano tecniche miste dell’osservazione partecipante, dell’osservazione naturalistica e dell’intervista discorsiva.
La seconda è l’Analisi delle conversazioni, che deve tenere conto del tipo di osservazione che il ricercatore mette in atto (naturalistica, che permette di rilevare l’interazione sociale nel suo farsi quotidiano, o osservazione di documenti naturali, attività principale di storiografi e archeologi, dove la critica delle fonti verte principalmente sull’autenticità della fonte e sulla credibilità dell’informatore).
La terza è l’Esperimento sul campo, ovvero un resoconto narrativo dei processi causali. È lo studio dei nessi tra eventi e azioni, con l’obiettivo di valorizzare il carattere multiplo e contingente della causazione sociale.
La quarta sono l’Intervista discorsiva e il Focus group.
Il focus group è un gruppo di discussione condotto da un ricercatore centrato su un tema specifico. È uno dei metodi più utilizzati per i consulenti aziendali per fare l’analisi dei bisogni (insieme all’utilizzo di questionari e alle interviste semi strutturate).
L’Intervista discorsiva è un’intervista come la intendiamo tutti, solo che l’intervistato è l’oggetto di una ricerca con degli obiettivi prefissati. Può essere parte di una serie di interviste alla stessa persona oppure a più persone omogeneamente o eterogeneamente scelte a seconda dei criteri di ricerca.
Metodi di ricerca qualitativa: l’osservazione partecipante
È una tecnica di ricerca in cui la prossimità all’oggetto diventa condivisione dell’esperienza delle persone coinvolte
È la tecnica principale per lo studio dell’interazione sociale e costituisce il tratto distintivo della ricerca etnografica (per esempio Paul Ekman con lo studio sulle Microespressioni in Papua Nuova Guinea).
Con l’osservazione partecipante l’interazione sociale viene osservata nel suo contesto naturale. La partecipazione del ricercatore può variare dal vivere con loro al vivere come loro
A questo modello Douglas, nel 1976, ne contrappone uno tipico del giornalismo investigativo: though-minded suspicion.
Douglas incoraggia l’adozione di una disposizione critica, di una forma di scetticismo sistematico nei confronti di ciò che le persone coinvolte nello studio ci dicono e ci consentono di osservare
L’osservazione partecipante serve per investigare le regole che governano l’interazione sociale al di sotto della consapevolezza degli attori sociali.
A fine giornata, ogni ricercatore deve compilare le note etnografiche. La scrittura delle note etnografiche, oltre a selezionare ciò che merita di essere messo nero su bianco, contribuisce a metterlo in forma.
Per la loro stesura è valida la regola delle 5 W e un’H: when, where, who, what, why, how.
Un esempio di esperimento sul campo a cavallo tra la ricerca qualitativa e quella quantitativa è l’Esperimento della Prigione di Stanford. Questo esperimento, condotto dal prof. Zimbardo, è stato d’ispirazione per il film del 2015 “Effetto Lucifero“.
Metodi di ricerca qualitativa: l’intervista strutturata e l’intervista discorsiva
L’intervista di ricerca può essere strutturata o discorsiva.
Nell’intervista strutturata l’interazione tra intervistato e intervistatore è governata da un copione, il questionario
Nell’intervista discorsiva, all’intervistatore competono la definizione del tema da approfondire, la decisione di deviare o meno dal tema proposto, il compito di porgere le domande nei modi e nei tempi che ritiene più opportuni. All’intervistato corrisponde il diritto di essere il centro dell’attenzione.
Attraverso l’intervista acquisiamo innanzitutto discorsi, narrazioni ed argomentazioni, caratterizzati da una specifica coloritura emotiva.
L’emotività emerge (e va messa nero su bianco) attraverso il tono della voce, la postura, le espressioni del volto, le pause. Deve emergere soprattutto la posizione del locutore rispetto alle cose che dice. Si possono cogliere le tracce di conflitti interiori, segnalati da lapsus linguistici o da altre perturbazioni del linguaggio.
La forza dell’intervista è data dalla contingenza irripetibile di ciascuna intervista, una contingenza co-costruita nell’interazione tra intervistatore e intervistato.
Il ruolo che viene assegnato all’intervistato può essere di:
- protagonista,
- testimone/osservatore
- esperto.
La trascrizione dell’intervista, invece, deve rendere conto:
- delle modalità comunicative (livelli linguistico, paralinguistico ed extralinguistico) adottate da entrambi;
- dell’interazione tra intervistato e intervistatore;
- degli elementi di contesto dell’interazione richiamati nella conversazione.
Il focus group
Può essere definito come una tecnica di ricerca concepita per generare all’interno di un gruppo, costituito da 6-10 persone, una discussione focalizzata su un tema proposto ai partecipanti dal gruppo di ricerca.
In campo di ricerca può essere usato come indagine esplorativa prima della ricerca vera e propria, oppure come strumento centrale di ricerca. Comprende una serie di procedure concepite per osservare l’interazione sociale in condizioni quasi-sperimentali in cui i soggetti sono consapevoli dell’attenzione del ricercatore.
La discussione viene in genere audio-registrata o, in alcuni casi, videoregistrata.
L’intreccio tra due forme di relazione:
- una reticolare e simmetrica tra i partecipanti al focus group
- e l’altra lineare e asimmetrica tra ciascuno di loro e il ricercatore.
Il disaccordo tra i partecipanti viene legittimato, se non addirittura stimolato, dal moderatore.
Di norma è necessario progettare la realizzazione di una serie di focus group. L’estensione della serie dipende dal potenziale comparativo che ci si propone di acquisire e dalla forma dell’argomentazione prolettica.
Vi è la possibilità di separare specifiche sottopopolazioni e di effettuare discussioni ripetute all’interno del medesimo gruppo.
Il ricercatore solleciterà la produzione di discorsi porgendo domande ai partecipanti e inventando le sollecitazioni più opportune sul momento.
Per la trascrizione delle discussioni bisogna dar conto degli aspetti linguistici, paralinguistici ed extralinguistici dell’interazione. Per questo compito bisogna adottare un sistema convenzionale di notazione. Possono comparire dei riassunti tematici, usati prevalentemente per restituire la modalità in cui il tema è stato declinato all’interno del gruppo.
Il problema della deindividuazione durante una ricerca
La deindividuazione (a volte citata come deindividualizzazione) è un concetto della psicologia sociale e della sociologia introdotto dall’antropologo e psicologo francese Gustave Le Bon e poi ripreso da Philip G. Zimbardo.
È diventato un fenomeno di osservazione della psicologia a seguito della realizzazione dell’Esperimento carcerario di Stanford. L’obiettivo di Zimbardo era quello di indagare il comportamento umano in una società in cui gli individui sono definiti soltanto dal gruppo di appartenenza.
Nel contesto esaminato da Philip Zimbardo, la deindividuazione fu definita come quella perdita di autoconsapevolezza e autocontrollo che si sperimenta in determinate situazioni nelle quali l’individuo si trova ad agire all’interno di dinamiche sociali e di gruppo.
Nel film del 2005 Effetto Lucifero di Kyle Patrick Alvarez. viene riprodotto il famoso esperimento di Zimbardo.
Se consideriamo il rischio che una persona non agisca in modo naturale perché legata a stereotipi ed aspettative sociali del luogo in cui si trova, la ricerca qualitativa è probabilmente la modalità più adeguata per sviscerarla o prenderla in considerazione come oggetto stesso di ricerca.
Questo rischio, che potremmo inserire tra i bias cognitivi delle persone oggetto di ricerca, è molto comune durante una ricerca di laboratorio, tipica espressione della ricerca quantitativa.
Questo significa che l’effetto di deindividuazione scoperto da Zimbardo poteva avvenire anche tra le persone coinvolte nel suo esperimento che serviva a spiegare l’effetto stesso.
Infatti, la comunità scientifica di allora, e in particolar modo la comunità scientifica moderna, ha enormemente criticato dal punto di vista etico e metodologico l’esperimento di Zimbardo.
Riuscire ad individuarla o a marginarla è sicuramente ipotizzabile attraverso la ricerca qualitativa.
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