La trasvolata del 1927: l’impresa di Charles Lindbergh che lo riconduce al Futurismo

Il Futurismo riponeva fiducia nella macchina, cosa favorita pure da Charles Lindbergh, col suo volo transatlantico che ha segnato la storia.

 

Nella giornata di ieri, 21 maggio, si è ricordata l’epica impresa di Charles Lindbergh, l’aviatore americano che, nel 1927, ha compiuto il primo viaggio transatlantico, da solo, senza scalo. Un viaggio di 3600 miglia, da New York a Parigi, che gli ha garantito immediata notorietà internazionale. A fianco delle indubbie capacità di volo, si deve considerare l’importanza del monoplano leggero, che gli ha permesso di segnare la storia. In questo, si trova una sorta di “fil rouge” con la fiducia che i futuristi, nel primo decennio del secolo scorso, hanno riposto nella macchina, intesa come elemento capace di rompere con la cultura del passato, e garantire un prosieguo della modernità.

L’esperienza di volo di Charles Lindbergh

Il sogno di Charles Augustus Lindbergh (Detroit, 1902 – Maui, Hawaii, 1974) fu sempre quello di volare. Sin da giovane, Charles aveva immaginato la sua trasvolata dell’Oceano Atlantico. Per questo, cercò sempre di affinare la tecnica. Nel 1922, abbandonò il corso di ingegneria, all’Università del Wisconsin, per prendere lezioni di volo. Quattro anni più tardi, si laureò, ed iniziò a lavorare per la Robinson Aircraft Corporation. Divenne capo di un servizio di posta aerea, sorvolando la rotta tra St. Louis, Missouri e Chicago.
Tutt’ora, viene ricordato per un’impresa imponente: il primo volo transatlantico, in solitaria, senza scalo.

Charles riuscii a convincere la Camera di commercio di St. Louis a sponsorizzare il volo, e finanziargli la costruzione di un monoplano in grado di volare da New York a Parigi. Ciò che lo spinse a tentare la traversata fu il premio da 25 mila dollari, fissato dall’imprenditore di origini francesi Raymond Orteig. Questi, lo avrebbe offerto al primo aviatore che avesse percorso la tratta, in un senso o nell’altro.

Fu fissato un budget di 15 mila dollari per la realizzazione del velivolo, per cui la Ryan Airlines Corporation di San Diego si offrì volontaria. L’idea era costruire un monoplano leggero, monomotore, attenendosi a delle specifiche. Per ridurre il peso, sarebbe stato escluso tutto ciò che non fosse essenziale. Non ci sarebbero stati: radio, indicatore del gas, luci notturne, apparecchiature di navigazione, e nemmeno il paracadute; Lindbergh si sarebbe seduto su una leggera sedia di vimini. A differenza di altri aviatori che tentarono il volo, prima di lui, l’aviatore sarebbe stato solo, senza navigatore o copilota.

Da New York a Parigi

Il 21 maggio 1927, Charles Lindbergh completò il suo memorabile volo, eseguito a bordo dell’aereo “Spirit of Saint Louis”. L’aviatore partì alle 7.52, dal Roosevelt Field, vicino a New York, per arrivare a Le Bourget, vicino a Parigi, alle 22.00. Il viaggio durò, in totale, 33 ore e 39 minuti.
Imprevisto fu il maltempo, che ritardò il suo tentativo transatlantico di una settimana. Tuttavia, pur usando solo una navigazione rudimentale, fu in anticipo di due ore rispetto al programma, e solo a tre miglia fuori rotta.

Quando arrivò all’aerodromo di Le Bourget a Parigi, trovò decine di migliaia di persone ad attendere, radunate, il suo arrivo. Alle 10:24 ora locale, il monoplano fece un atterraggio perfetto nel campo aereo. Lindbergh, stanco del suo viaggio di 3600 miglia, fu sollevato ed elogiato. Due aviatori francesi dovettero salvarlo dalla folla chiassosa, portandolo via in un’automobile. Divenne, subito, una celebrità internazionale, a cui la stampa affibbiò numerosi soprannomi, come: “L’aquila solitaria”, oppure “Il pazzo volante”. Successivamente, il presidente Calvin Coolidge inviò una nave da guerra per portarlo a casa.

La fiducia nella “macchina”

Charles Lindbergh fu il primo a completare una simile impresa. La sua riuscita trovò conferma nell’indubbio talento, e nelle ottime capacità di pilotaggio, ad alta quota, per le quali si fece conoscere fin dai tempi della Robinson Aircraft Corporation. Imprescindibile è la fiducia nei confronti dello “Spirit of Saint Louis”, per quanti elementi potessero mancare, i quali si sarebbero rivelati utili per affrontare l’immane tratta.

Fautore della, cosiddetta “estetica della velocità”, più o meno nello stesso periodo in Europa, il Futurismo intese celebrare la bellezza e la fiducia nella “macchina”. Tale elemento interpretava i segni della modernità. Non solo inneggiava alla potenza, ma avrebbe garantito anche un distacco dal passato.
Il Futurismo ebbe il fine di ricostruire, ovvero quello di rifondare. Avvenne un vero e proprio rovesciamento dei canoni tradizionali. Per rifondare, però, era necessario distruggere: il primo passo fu, quindi, l’azzeramento di tutto ciò che legasse il presente al passato.

Il Futurismo nella letteratura

In ambito letterario, il Futurismo opta per una forma sintetica e abbreviata, l’analogia. Così facendo, si accostano, e assimilano, realtà diverse e lontanissime tra loro. La parola, nella sua forma grafica, deve suggerire concretamente una dinamicità complessa di immagini. Essa non vale solo per l’immagine mentale a cui allude, ma anche per il segno concretamente visibile, destinato a produrre impressioni acustiche e tattili: da questo, l’importanza della sinestesia.

Il rifiuto della logica tradizionale ha, come conseguenza, il proposito pure di distruggere la sintassi, che riflette l’ordine di un pensiero rigorosamente concatenato. A seguito della distruzione della sintassi si sviluppa la teoria delle “parole in libertà”. I sostantivi devono essere disposti “a caso, come nascono”. Vengono aboliti, altresì, i tradizionali elementi di interpunzione. Gli unici segni, impiegabili, sono quelli della matematica, e quelli musicali.

“Essendo soppressi gli aggettivi, gli avverbi e le congiunzioni, la punteggiatura è naturalmente annullata, nella continuità varia di uno stile vivo che si crea da sé, senza le soste assurde delle virgole e dei punti. Per accentuare certi movimenti e indicare le loro direzioni, s’impiegheranno segni della matematica: + – x : = >”

– Filippo Tommaso Marinetti, Manifesto tecnico della letteratura futurista, 11 maggio 1912

Perché proprio il Futurismo?

Quindi, perché parlare proprio dei futuristi, in rapporto con Lindbergh? Per l’essere precursori di innovazioni, e di uno sviluppo, sempre più vivo, che sarebbero stati attuati negli anni a venire.

Con l’insorgere del Futurismo, si pensava che le forme del passato, irrigidite, fossero ormai abitudinarie e prevedibili; che coincidessero con la morte. La vita era, quindi, da cercare nell’azione sempre più energica, frenetica e spavalda.

“Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno”

– Filippo Tommaso Marinetti, Manifesto del Futurismo, 5 febbraio 1909

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