L’alcol nel mondo antico tra ebbrezza e felicità: scopriamo qualche testimonianza

Il vino, la birra e, in generale, gli alcolici sono a tutti gli effetti elementi della dieta dell’uomo. L’alcol porta con sè importanti risvolti sociali che erano già stati descritti nell’antichità

Scena di simposio, dalla “Tomba del Tuffatore”, Paestum (Wikimedia)

Il simposio, la libagione, l’invito poetico ad ubriacarsi sono solo alcune delle manifestazioni culturali del mondo antico che hanno a che fare con l’alcol. La Grecità prima e il mondo romano poi, hanno lasciato diverse testimonianze del rapporto dell’uomo con il vino, la birra e, in generale, con le bevande alcoliche: vediamone alcune.

Polifemo ubriaco

L’alcol, è risaputo, è una sostanza psicotropa, ossia in grado di alterare la mente (psyché in greco significa “anima” e trepo “volgere”). Questa sua caratteristica appare sin da subito evidente nei poemi omerici, vero fondamento della cultura occidentale. Il vino e la vite, però, sono spesso un elemento di abbondanza della terra e di ricchezza dei popoli: in Od. V (vv. 68-69) il poeta per descrivere l’opulenza della dimora della ninfa Calipso, sull’isola di Ogigia dice

Si stendeva intorno alla grotta profonda una vite domestica, florida, feconda di grappoli

In Omero la coltura della vite e la produzione del vino sono intrinsecamente legati alla civiltà umana. Il libro IX dell’Odissea, che narra della celeberrima vicenda del ciclope Polifemo, è dominato dalla presenza del vino. Odisseo e i suoi compagni, giunti sull’isola del ciclope, portano in dono un’otre piena di “vino rosso, dolcezza di miele” che emana un “odore soave”. L’eroe, come è noto, ha l’intuizione di far ubriacare Polifemo per poterlo accecare più agilmente. Il mostro, quindi, inizia a bere quel “fiume d’ambrosia e nettare” senza misura: il poeta, a tal proposito, chiama il ciclope “pazzo” per la sua eccessiva gola e, così facendo, allude alla necessità di bere in modo moderato senza eccedere. Il vino, inoltre, appare in questo passo omerico come la bevanda che più di tutte segna il confine tra la civiltà e la ferinità: gli uomini coltivano la vite e bevono il vino; invece i ciclopi sono pastori, non conoscono il vino e bevono latte caprino.

L’eccessiva ubriachezza era considerata in modo negativo dai Greci. Il bere (durante il simposio, ad esempio) era regolato da particolari riti, momenti, occasioni e, soprattutto, quantità. Il vino greco era così liquoroso e denso da dover essere allungato con dosi d’acqua (Omero, sempre nel IX libro dell’Odissea, specifica che il vino di Odisseo doveva essere mescolato con venti misure d’acqua prima di essere bevuto).

Saffo e Alceo, Lawrence Alma-Tadema, 1881 (Wikimedia)

Alceo e l’invito ad ubriacarsi

Sotto il nome di Alceo ci sono pervenute alcune centinaia di frammenti lirici. L’autore, originario dell’isola di Lesbo e attivo tra VII e VI secolo, fu attivo nel dibattito politico della città di Mitilene. Alceo è rimasto famoso per una serie di componimenti di invettiva e argomento politici che, spesso, contengono riferimenti al simposio e al vino. Di grande fama è il frammento 332 V. in cui il poeta esorta i propri compagni a festeggiare per la morte di Mirsilo, tiranno di Mitilene:

Ora ci si deve ubriacare, e bere anche a forza / dacché infine è morto, Mirsilo

Il primo verso inaugura un fortunato filone della produzione poetica, ossia l’invito a lasciarsi andare all’ubriachezza per gioire e festeggiare. È il tema del nunc est bibendum, alla latina perché ripreso da Orazio (Odi, I 37, 1), che nel linguaggio contemporaneo è passato ad indicare un motto per momenti conviviali o feste. Emerge in modo netto il legame tra felicità e ubriachezza, come se tra i due concetti sussistesse un legame implicito ma, al contempo, di causa-effetto. Quante volte celebriamo momenti importanti della nostra vita brindando o stappando una buona bottiglia?

Il vino ha per Alceo anche una qualità terapeutica. Nel frammento 346 V., infatti, il poeta di Lesbo insiste sulla necessità di bere per far fronte ai dolori e alla precarietà della vita. L’incipit riprende l’esortazione alla bevuta:

Beviamo: perché aspettiamo le lucerne? Un dito è il giorno

Il “Beviamo” iniziale traduce un congiuntivo esortativo greco che si giustifica nel secondo emistichio del verso quando il poeta spiega che la vita “è breve come un dito” e perciò non si può attendere per godere e festeggiare attraverso il vino. Nel corso del frammento, Alceo attribuisce al vino l’epiteto λαθικάδεα (lathikàdea) che etimologicamente significa “che fa dimenticare i dolori” (tradotto di solito “cancellaffanni”). Il potere dell’alcol, dunque, è molto forte: è in grado addirittura di alleviare le sofferenze della vita senza medicamenti o farmaci, banalmente facendo scendere l’oblio sulla mente degli uomini. Ancora, quante volte oggi ci si rifugia nell’alcol per dimenticare dolori o tristezze?

I Germani di Tacito amano troppo la birra

Tacito, massimo storico della latinità, ci ha consegnato una straordinaria opera di carattere etnografico nota con il nome di Germania. L’autore, che scrive nel tra I e II secolo d.C. quando l’Impero Romano ha raggiunto la sua massima espansione ed è venuto in contatto con popoli diversi e lontani, si propone di descrivere la popolazione barbara dei Germani, illustrandone in particolare gli usi e i costumi. Tacito da un lato spende parole d’ammirazione per un popolo forte, giovane e ancora “puro” perché non corrotto dalla civiltà; dall’altro, però, bolla negativamente diverse caratteristiche rozze e tribali della società germanica.

In particolare, durante una descrizione etnografica nel capitolo 22 in riferimento ai Germani afferma:

Per nessuno di loro è vergognoso passare il giorno e la notte a bere. Le risse frequenti, come sogliono avvenire tra gente ubriaca, raramente si risolvono in alterchi, più spesso, invece, finiscono con uccisioni e ferimenti. Tuttavia, trattano durante i banchetti anche le riconciliazioni con gli avversari, gli accordi matrimoniali, la scelta dei capi […] come se in nessun altro momento i pensieri possano manifestarsi con sincerità.

Il passo di Tacito mette in evidenza come il carattere primitivo dei Germani si esplichi nelle azioni e nelle abitudini più disdicevoli. Essi non conoscono moderazione e sobrietà e trascorrono giorni interi a bere e gozzovigliare. I Germani, assidui bevitori di birra (Tacito la descrive come un “liquido ricavato dall’orzo e dal frumento, simile al vino”), affidano all’ubriachezza anche le decisioni più importanti per le loro tribù, come se solo in uno stato di alterazione fosse possibile prendere le migliori decisioni possibili. Ovviamente, questa descrizione condanna nettamente le usanze dei barbari che sono incapaci di autocontrollarsi. Ciononostante, Tacito aggiunge che i Germani (gens non astuta nec callida, “popolo non astuto né furbo”) aprono i segreti del loro animo durante l’ubriachezza e, da sbronzi, non essendo più in grado di simulare comportamenti falsi, diventano sinceri e chiari (si ricordi l’espressione in vino veritas).

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