Le simulazioni computerizzate hanno raggiunto un incredibile traguardo per la cura di importanti disturbi neurologici, come l’epilessia. Qual è stato il percorso che ha portato a un tale successo?
Circa 65 milioni di persone nel mondo soffrono di epilessia, un grave disturbo conosciuto per essere contraddistinto da sporadiche convulsioni di varia intensità, ma che comporta anche problemi cognitivi associati (come graduali perdite di memoria e concentrazione) e psicologici (depressione e ansia). All’Università di Marsiglia hanno realizzato un modello virtuale e personalizzabile di un cervello affetto da epilessia per facilitare l’operazione chirurgica in pazienti che non reagiscono ai farmaci.
La genesi dei primi modelli computazionali nella psicologia
Tra gli studi che hanno contribuito al raggiungimento di questi enormi traguardi nel campo delle simulazioni computerizzate in neurologia, vanno, indubbiamente, citati quelli psicologici. Infatti, fin dagli anni Cinquanta del Novecento, per descrivere le teorie psicologiche senza rischiare che venissero mal interpretate, si è capita l’importanza di utilizzare, al posto del linguaggio naturale, la “lingua” inequivocabile per eccellenza: la matematica, o meglio, la logica formale. È possibile, quindi, formalizzare una teoria costruendone una simulazione computerizzata, ovvero un modello computazionale. Il primo modello computazionale mai realizzato fu opera di Allen Newell, uno dei pionieri negli studi sull’intelligenza artificiale (IA), che, insieme a Herbert Simon, sviluppò nel 1955 un programma per dimostrare automaticamente alcuni teoremi logici: il Logical Theorist (LT). IL programma fu presentato alla conferenza di Dartmouth del 1956, la prima dedicata all’IA, e fu l’unico effettivamente eseguibile tra quelli proposti.
La categorizzazione dei modelli computazionali per la ricerca
Con il boom di diffusione dei modelli computazionali, dagli anni Ottanta in poi è stato possibile categorizzarne tre diverse tipologie:
a) modelli basati su sistemi di regole di produzione, i quali si basano su sistemi molto complessi di produzioni, cioè sull’associazione tra una o più condizioni e una o più azioni (in altre parole, cause e conseguenze), che si attivano contemporaneamente in modo ciclico;
b) modelli connessionisti, anche detti “reti neurali artificiali”, perché si ispirano proprio alla struttura di connessioni neurali del cervello e sono dotati di “nodi” che si attivano al raggiungimento di un certo livello di eccitazione che genera un potenziale di azione, esattamente come succede ai neuroni. Sono ottimi per spiegare processi come la percezione, la ritenzione mnemonica di informazioni, il recupero delle parole dal lessico mentale e alcuni tipi di apprendimento per associazione;
c) modelli basati su agenti artificiali, attraverso i quali è possibile programmare degli “individui” artificiali, che posseggano, seppur in maniera molto semplificata, delle caratteristiche comportamentali umane e un modello dell’ambiente in cui questi individui potranno interagire liberamente, cosa che contribuisce a rendere lo studio alquanto divertente. Tali società simulate permettono di verificare quali siano i fattori che generano situazioni analoghe a quelle osservabili nella realtà sociale. Ecco, ad esempio, un sito che permette di risolvere alcuni problemi sociali piuttosto bizzarri, come quello di un gruppo di filosofi a cena che non hanno abbastanza forchette per mangiare gli spaghetti: http://ccl.northwestern.edu/netlogo/
Negli anni 2000, la ricerca in questo campo si è concentrata soprattutto sulle reti neurali di dimensioni medio-piccole, mentre nel 2005 un nuovo campo di studi ha fornito delle mappe complete di circuiti che coinvolgono tutte le aree cerebrali. Questo ha consentito una modellizzazione virtuale del cervello su larga scala per comprendere le dinamiche tra le diverse strutture e la loro funzione.
Il Paziente Epilettico Virtuale è il nuovo contributo alla neurochirurgia
Dalla fusione di questi studi è nato un nuovo approccio di modellizzazione e simulazione cerebrale computerizzata su larga scala, basata sui dati dei singoli pazienti epilettici. La necessità di questo modello deriva dal fatto che per il 30% dei pazienti che soffrono di epilessia l’assunzione di farmaci non ha effetto, per cui sono costretti a convivere con le crisi epilettiche e tutti i problemi che ne derivano. Alcuni di loro sono disposti ad affrontare un’operazione chirurgica, che consiste nella rimozione della zona epilettogenetica, cioè l’area cerebrale (che può essere diversa per ogni individuo) da cui si propagano i segnali elettrici estremamente intensi che causano le crisi interferendo con la normale attività cognitiva e motoria. Si tratta, tra l’altro, di un’operazione molto rischiosa e con scarsa probabilità di successo, a causa della difficolta nell’identificare la zona epilettogenetica e delle possibili ripercussioni che la rimozione di un’area cerebrale comporta sulle connessioni neurali e sul funzionamento del cervello. Ecco perché il fisico e neuroscienziato Viktor Jirsa, insieme ad altri ricercatori dell’Università di Aix-Marsiglia, ha sviluppato il Paziente Epilettico Virtuale. È un cervello virtuale sul quale è possibile testare gli effetti dell’asportazione di un’ipotetica zona epilettogenetica, così da trovare la procedura migliore per realizzare l’operazione. Infatti, questa simulazione riproduce le connessioni tra le aree cerebrali e lo scambio di segnali elettrici del cervello di ogni singolo paziente basandosi sull’anatomia, sulla sua cartella clinica e traendo informazioni da esami come l’elettroencefalogramma per personalizzare al massimo il modello in modo che replichi fedelmente lo sviluppo delle sue crisi epilettiche.
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È così che si può testare in modo realistico come ogni specifica regione del cervello può originare delle scariche elettriche che si propagano nelle altre aree, dando vita a delle crisi epilettiche e capire, in base alla simulazione più somigliante ai sintomi del paziente, dove intervenire chirurgicamente. Un nuovo traguardo per la ricerca neuro-informatica, che sfiora la fantascienza.