La politica estera di Donald Trump potrebbe basarsi sull’egemonia statunitense
Dopo l’insediamento alla Casa Bianca del neopresidente, i confini degli Stati Uniti sembrano essere destinati a cambiare rapidamente.
Le dichiarazioni
Nella conferenza stampa a Mar-a-Lago Donald Trump ha rilasciato dichiarazioni riguardanti la direzione che la politica estera assumerà nei prossimi anni. Il neoeletto Presidente non ha mancato l’occasione per rimproverare all’Amministrazione Biden di aver lasciato gli Stati Uniti in una “situazione difficile”, proponendosi implicitamente come risolutore dei problemi ereditati come suggerisce lo slogan della sua campagna elettorale: “Trump will fix it”. Quello che però ha maggiormente destato le preoccupazioni di diversi Stati è il desiderio manifestato dal tycoon di riconquista del canale di Panama, di annessione della Groenlandia, del Canada e le rivendicazioni sul Golfo del Messico.
Le mire espansionistiche
Con il termine “imperialismo” si intende la tendenza di alcune nazioni a imporre la propria egemonia politica e culturale ad altre, spesso anche attraverso lo sfruttamento delle loro risorse economiche e territoriali. Sembra che questa definizione sia posta alla base della politica estera di Trump, affermando che il futuro espansionismo americano ha come obiettivo il raggiungimento della sicurezza economica del Paese, attuabile anche attraverso l’uso della forza se fosse necessario. Uno dei motivi per cui la Groenlandia potrebbe essere così ambita dal nuovo inquilino della Casa Bianca è la ricchezza di un gruppo di metalli, molto importanti per il settore tecnologico e nella transizione energetica; inoltre l’isola si trova in una posizione militarmente strategica in caso di attacco russo o cinese verso l’Artico. L’annessione del Canada permetterebbe agli Stati Uniti di avere il monopolio del mercato e delle risorse, mentre il canale di Panama consentirebbe il passaggio tra Atlantico e Pacifico senza la circumnavigazione del continente. I pessimi rapporti tra Trump e il Messico non ostacolano lo sfruttamento del mare del Golfo, in cui si trova la metà degli impianti statunitensi di lavorazione del petrolio.
Le reazioni
Le dichiarazioni del tycoon sono state percepite dalla comunità internazionale come violazioni della sovranità degli Stati. Nonostante la crisi del governo Trudeau, il premier ricorda che “il Canada mai e poi mai farà parte degli Stati Uniti”, seguito dalla ministra degli Esteri Jolie che afferma la resistenza del Paese di fronte a tali minacce. Della stessa idea sono il ministro degli Esteri Martinez-Acha che afferma che “il Canale appartiene ai panamensi” e la Groenlandia che si definisce “aperta al dialogo” con gli Usa in vista di una cooperazione nell’Artico e la salvaguardia degli interessi americani, ma dichiarando fermamente di non essere in vendita.