Il profumo di ragù che invade la casa della nonna, le grigliate di Ferragosto, l’agnello a Pasqua: mangiare carne fa parte di molte tradizioni. Mentre la popolazione vegetariana è in aumento, alcune aziende hanno iniziato a creare hamburger di carne artificiale. I processi psicologici che ci fanno mangiare (o no) la carne sono numerosi, ma soprattutto uno è rilevante: mascheriamo l’animale presente nel piatto cambiandone il nome e la forma.
Una bistecca di Bambi
Bambi sotto i cespugli aspetta il ritorno della madre. Ne grida il nome, disperato. I cacciatori, però, hanno appena ucciso sua madre. È inverno, nevica, e il piccolo cerbiatto vaga sconvolto per la foresta. Qualche giorno dopo, la famiglia del cacciatore banchetterà allegramente con un delizioso ragù di cervo.
Il nostro modo di consumare la carne si basa su una dissonanza: poichè non riusciamo a mangiare un animale che ci guarda con gli occhioni di Bambi, allora mettiamo in atto delle strategie per allontare l’immagine dell’animale vivo dalla nostra testa.
Quando Lisa Simpson diventò vegetariana
Nella quinta puntata della settima stagione de I Simpson (siamo nel 1995), Lisa e la famiglia si recano allo zoo, dove incontrano un agnellino. Tornati a casa, mentre tutti masticano rumorosamente, Lisa rivede nelle costolette d’agnello la creatura che avevano trovato allo zoo. Impietosita, decide di diventare vegetariana.
Homer, subito dopo, dice due frasi che mostrano come riusciamo a mangiare carne senza pensare all’animale vivente. Egli, infatti, le propone di consumare “pancetta, prosciutto, braciole“. I prodotti a base di carne vengono etichettati con solo una parte dell’animale intero, oppure, con un nuovo nome. Homer, poi, dice: “Questo non è un agnello, è agnello“. Tale affermazione è alla base del superamento della dissonanza cognitiva: lo studio presentato nei prossimi paragrafi illustra cosa succede nella nostra mente.
Mangiare carne: come superare la dissonanza cognitiva
La dissonanza cognitiva è un concetto introdotto in psicologia da Leon Festinger nel 1957. Esso spiega come credenze, valori e comportamenti in contrasto tra loro vengono superate attraverso delle tecniche di neutralizzazione. Il boia, per esempio, deve superare la dissonanza tra la malvagità dell’uccisione e la necessità del suo lavoro. Lo fa appellandosi al concetto di Giustizia, di equilibrio sociale, di colpa del condannato.
Nel caso della carne, lo studio condotto da Jonas Kunsta e Sigrid Holec afferma che il modo con cui viene presentata la carne, e il nome che le viene dato, modifica la relazione tra animale e cibo. O, come direbbe Homer, tra un agnello e agnello.
Carnivori per dissociazione
Gli oltre mille partecipanti allo studio dovevano scegliere tra un menù a base di carne e un menù vegetariano. Un gruppo di partecipanti leggeva “bistecca” o “cotoletta”, un altro “mucca” o “maiale”, un altro vedeva immagini dell’animale vivo. Questi ultimi due gruppi sceglievano in misura maggiore il menù vegetariano.
I ricercatori hanno poi manipolato ulteriormente lo stimolo visivo. Ad alcuni gruppi si mostrava l’immagine di un maiale arrosto intero, ad altri senza la testa. Il gruppo che vedeva anche la testa provava maggiore disgusto ed empatia, preferendo il menù vegetariano.
Più il cibo viene lavorato, più si distanzia dall’immagine dell’animale vivo, più la gente si trova a suo agio nel mangiare carne. Operiamo un distanziamento: attraverso il cambio linguistico dei nomi dei prodotti e attraverso la modificazione visiva di come li presentiamo nel piatto. Così la scatola di cotolette al supermercato sembra nata dal frigorifero, e non da polli ruspanti.
Mattia Grava