MILLE MODI DI TORTURA: SCOPRIAMO I METODI PIÙ USATI PER PUNIRE I PRESUNTI PECCATORI

 La vita non è mai facile. Specialmente se sei un uomo accusato di qualche crimine nell’antichità. La fantasia dilagava quando si trattava di punire, ma in che modo?

Anticamente nelle prigioni e nei tribunali non si andava di certo per il sottile quando si parlava di tortura. Gli anni del Medioevo e quelli a seguire, specialmente quelli dell’Inquisizione Spagnola molto fecero per arricchire il catalogo di torture. Bersagli furono presunte streghe, infedeli e blasfemi, accusati di crimini falsi che poi nella maggior parte dei casi dovevano confessare. Tutto era severamente perseguito e punito, se non con la pena di morte, con torture crudeli e innaturalmente violente volte alla confessione o alla mera tortura. Molti erano metodi per raddrizzare il popolo, o ucciderlo, ma quali sono i più famosi?

LE PENE CAPITALI

Uno dei più efficaci metodi di tortura è, banalmente, la morte. Molte sono le condanne avvenute nella storia per rogo, impiccagione, ghigliottina e vittime sono stati anche personaggi famosissimi. La condanna per morte sul rogo, diffusa già nell’Antica Roma, trovò massima espressione nel Medioevo. Il condannato legato ad un palo e contornato di fasci di fieno, moriva tra atroci sofferenze per il dolore, per shock ipovolemico (annerimento dei tessuti) o per asfissia. A volte, per evitare sofferenze, era il boia stesso a porre fine alla vita della vittima, previo pagamento dei parenti. Nell’antichità non era molto praticata  l’impiccagione, visto più come un modo per suicidarsi. A Roma, infatti, si preferiva la crocifissione o la decapitazione. Il condannato, condotto al patibolo, cadeva nel vuoto finché la corda, avvolta intorno al collo, provocava l’asfissia. Nel migliore dei casi si moriva in pochi minuti, in altri alla vittima rimaneva appesa per molto tempo, scalciando nel tentativo di cercare aria. Se l’impatto era molto violento poteva capitare che il trauma provocasse addirittura l’arresto cardiaco. Chi veniva condannato per decapitazione incontrava anche lui un destino triste. Un boia aspettava che il condannato poggiasse la testa su di un ceppo e poi lo decapitava con uno spadone senza punta. Questo metodo fu utilizzato fino alla Rivoluzione Francese (1789-1805), quando per velocizzare le esecuzioni nacque la ghigliottina. Questo macchinario prevedeva due montanti verticali, al cui centro era montata una lama trapezoidale in acciaio. La vittima poggiava la testa su un appoggio il legno a mezza luna, chiuso sopra il collo per tenerlo fermo. La lama, velocissima, cadeva sul collo della vittima mozzandone la testa di netto. Il corpo scivolava in una cassa, mentre la testa, caduta in un cesto, veniva poi esposta al popolo.

IL TORO DI FALARIDE

Secondo Paolo Orosio, storico dell’epoca di Agostino d’Ipponia, la tortura del toro di Falaride risale ad un fatto successo alla corte di Falaride, tiranno di Agrigento nel V secolo a.C. Falaride era un esattore delle tasse, ricordato per la sua crudeltà e violenza, impegnato nella raccolta dei fondi per la costruzione di un tempio dedicato a Zeus (mai costruito). Perillo di Atene, fonditore di ottone, volendo far colpo sul tiranno, creò per lui una riproduzione di un toro, cavo all’interno, in cui era possibile far stare una persona. Si dice che Falaride, mente torturatrice per eccellenza, rimase davvero colpito da questa costruzione e non perse tempo a farne subito buon uso. Invitò così Perillo ad entrare nel toro, dopodiché lo fece chiudere dentro e accese il fuoco sotto il ventre dell’animale. La tortura arrivò nel momento in cui il toro, surriscaldato dal fuoco, raggiunse la temperatura giusta per la cottura del malcapitato. Inoltre, mentre Perillo all’interno esalava gli ultimi respiri, i suoi lamenti erano facilmente udibili all’esterno da un complesso meccanismo di tubi in metallo posti in prossimità della bocca del bovino. Lo scopo era far sì che i lamenti agonizzanti sarebbero risultati come il muggito del toro.

LE PUNIZIONI CON LA CORDA

Non era raro usare la corda come strumento di tortura, in quanto economica, facile da reperire, e, considerato il materiale, anche piuttosto dolorosa se ben utilizzata. Una delle torture più conosciute e praticate fino all’Ottocento era il cosiddetto “tratto di corda”. Consisteva nel legare le mani della vittima dietro la schiena, e poi far passare un’altra corda in mezzo alle braccia con l’estremità legata ad una carrucola. Il prigioniero era poi sollevato a qualche metro da terra e quindi, di conseguenza, lasciato per ore a sorreggere il peso del corpo solo sulle spalle. Dopodiché lasciavano andare la corda e la vittima cadeva bruscamente, slogandosi le spalle quando la caduta si arrestava di colpo. Un altro metodo era quello di stendere il prigioniero sul terreno, poggiato su un’intelaiatura di legno, con le braccia sopra la testa e le gambe legate. Delle leve azionavano le funi legate agli arti della vittima e il corpo veniva sollevato per le estremità, così da non lasciare alla schiena nessun punto di appoggio . Non solo, le intelaiature erano spesso dotate di spuntone di ferro, così, nel caso la vittima pensasse di rilassarsi, avrebbe trovato la situazione scomoda. Una variazione, detta cremagliera, usata già al tempo degli Egizi, vedeva la vittima legata invece ad un tavolo allungabile, spesso adornato anche lui di spuntoni di ferro. Il corpo, tirato fino allo stremo tramite funi, soffriva fino al dislocamento degli arti e la lacerazione dei muscoli.

LE PUNIZIONI IN PUBBLICA PIAZZA

La gogna fu uno strumento punitivo usato durante il Medioevo. Consisteva in un collare di ferro, fissato su una colonna attraverso una catena. Successivamente si semplificò divenendo tavole di legno adornate di cerniera, poste sul collo e sui polsi delle vittime condannate alla berlina. Le gogne, allestite nelle piazze, servivano per punire e detenere i criminali di poca importanza. Spesso, ai fini dello scherno, ai loro colli si appendeva un cartello che ne indicava il crimine. Il criminale veniva così continuamente insultato, tormentato con insulti e percosse fisiche. Tutto era generalmente permesso, dall’affliggere ferite, al tirare sassi e verdure, al solletico sui fianchi. La posizione in cui era costretto il condannato impediva comunque qualsiasi forma di reazione. Ancora oggi “mettere alla gogna” è un termine utilizzato per indicare un certo tipo di comportamento vessatorio verso qualcuno colpevole di un’azione sbagliata. La tortura della ruota è una pratica usata principalmente nel Medioevo. Consisteva nel legare i polsi e le caviglie ad una grande ruota posta nella piazza della città. Gli esecutori a volte rompevano con una mazza le ossa degli arti della vittima, mentre altre volte lo uccidevano con un solo colpo sullo sterno. Nella grande maggioranza dei casi la ruota girava su se stessa così da provocare alla vittima nausea e vomito. Nonostante non fosse una pratica mortale, la condanna provocava comunque disturbi circolatori al condannato e, in taluni casi, alcuni spuntoni posti sotto gli arti ne provocavano la morte per dissanguamento. Un altro modo per punire un criminale era quello di appenderlo in una gabbia di ferro sospesa da un palazzo posto in centro città. Il condannato, semi nudo, giaceva esposto al freddo e al popolo, che spesso ne faceva l’obiettivo per insulti e botte. Se la pena era minore veniva nutrito e poi liberato. In caso di pena di morte la fame e la sete avrebbero fatto il lavoro.

Esempio di gogna.

LA BRIGLIA DELLA COMARE

Durante l’età moderna trovare un modo per punire una donna non era poi così difficile. In Scozia bastava essere un tantino pettegole per avere il proprio strumento di tortura: la mordacchia, o briglia della comare. Ovviamente non bastava sparlare della crostata della vicina per subire la punizione. La briglia era per le donne che sparlavano del proprio marito, raccontando in giro fatti della famiglia o denunciando eventuali abusi. La mordacchia era una maschera di ferro che si chiudeva intorno alla testa, munita di una piastra che premeva sulla lingua. La piastra, a volte adornata da una punta di ferro che feriva la lingua ad ogni movimento, impediva alla malcapitata di parlare e mangiare. Non solo, la condannata era costretta a sfilare per la città al guinzaglio, guidata il più delle volte dallo stesso marito. Il popolo aveva tutto il diritto di insultarla, sputarle e lanciare sassi.

La mordacchia.

 

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