Søren Kierkegaard commenta “Big Little Lies”: il segreto è il luogo in cui si manifesta la nostra autenticità.
Un libro di successo e una serie di successo. È la storia di Big Little Lies, fortunato romanzo della scrittrice australiana Liane Moriarty da cui è stata tratta l’omonima pluripremiata serie firmata HBO.
“UNA VITA PERFETTA È UNA BUGIA PERFETTA”: BIG LITTLE LIES
Quello dipinto dalla Moriarty è un piccolo mondo urbano. La raffinata comunità di Monterrey, composta da madri in carriera e casalinghe, feste in maschera e adorabili bambini alle prese con le disavventure della prima elementare. Un tranquilla e piacevole vita di periferia.
Apparentemente.
In realtà dietro l’immagine patinata si nascoste ben altro. Tanto il romanzo quanto la serie sono il resoconto di un gioco di segreti, parole non dette, profonde insicurezze, rancori e abusi domestici schermati da un velo di ostentata perfezione.
Tutto ciò è perfettamente incarnato dalle tre protagoniste. Celeste, bella, ricca e adorata dal marito, lo stesso che la picchia sistematicamente; Madeleine, osso duro e battagliera paladina della giustizia, forse perché abbandonata dall’ex marito e lasciata a vivere da ragazza madre; infine Jane, dietro la cui dura scorza si cela un abuso sessuale mai realmente elaborato.
Tutte vivono una bugia. O meglio, un segreto. Un segreto che costituisce la loro stessa personalità. Qualcosa che ci ricorda da molto vicino la concezione di Søren Kierkegaard.
ESISTE SOLO LA VERITÀ SOGGETTIVA: KIERKEGAARD RIBALTA LA PROSPETTIVA
Il pensiero del filosofo danese è piuttosto celebre. Attraverso la critica a Hegel egli ribalta la prospettiva universalista della filosofia occidentale per porre l’attenzione sulla singolarità.
Hegel ha elevato ai massimi livelli il motore della speculazione filosofica: la ricerca dell’Universale. Scoprire quali leggi regolino la realtà nella sua totalità e a quale fine essa tenda. Kierkegaard demolisce il sistema, dando origine a un nuovo tipo di riflessione: l’Esistenzialismo. Per il filosofo di Copenaghen, infatti l’Universale non esiste. La realtà non è altro che l’insieme di individui singoli e soli, la cui unicità non può essere ricondotta a un sistema onnicomprensivo.
La filosofia, dunque, deve spostare la sua attenzione dalla ricerca dea verità oggettiva a quella della verità soggettiva. Ma come può la verità essere soggettiva?
Quella che apparentemente sembra essere una contraddizione insanabile è in realtà il fulcro del pensiero kierkegaardiano. La verità di per sé non esiste. Ogni individuo vive la sua verità in base alle scelte che compie. Poiché, tuttavia, le possibilità sono al contempo infinite e irreversibili, l’individuo non può che sprofondare nell’angoscia. L’angoscia è quel sentimento caratteristico che l’uomo sperimenta allorché si rende conto che ogni scelta è definitiva e cieca. A ogni bivio della vita, l’individuo è chiamato a incamminarsi verso un sentiero che determinerà la sua esistenza ma da cui non potrà tornare indietro.
Questa è la verità soggettiva. È la storia di ognuno di noi, unica e irripetibile. Ognuno di noi vive la propria verità, non riconducibile alla verità universale che è inesistente, mero dogma.
Ma c’è di più. Per Kierkegaard esiste un elemento di assoluta verità, che guida e condiziona la nostra vita: il segreto.
IL SEGRETO FONDA TUTTA LA NOSTRA REALTÀ
Con il termine segreto, egli non intende, ovviamente, le confidenze strette o il pettegolezzo. Il segreto kierkegaardiano è lo statuto ontologico stesso della persona. È l’elemento nascosto, la maledizione, la “spina nelle carni” che ognuno di noi porta e non rivela a nessuno, a volte neache a se stesso. Eppure, è proprio questo segreto viscerale a condizionare tutta la nostre vita e le nostre scelte . Per Kierkegaard siamo autenticamente noi stessi solo nella dimensione del nostro segreto.
Proprio per questo, il nostro Io è, in ultima analisi, incomunicabile. La verità rimane soggettiva perché nessuno può condividere il proprio segreto. Da qui, per esempio, l’esigenza del filosofo di trincerarsi dietro soprannomi, nomignoli e maschere. Non è un vezzo artistico, ma risponde all’incapacità di Kierkegaard di parlare di se stesso in modo autentico. La nostra verità, in fondo, rimane celata anche ai nostri occhi. Questo è il mistero della vita, risolvibile solo attraverso un salto di fede, accogliendo il Cristianesimo paradossale e scandaloso come emblema del nostro stesso paradosso. Ma questo ci porterebbe troppo oltre.
Rimanendo sul segreto, cosa succederebbe se esso venisse svelato?
Se, come abbiamo visto, il segreto costituisce la nostra realtà più autentica, svelarlo vorrebbe dire dissolvere la nostra unicità. Il segreto è ciò che mantiene salda la nostra esistenza. Senza di esso, non saremmo neanche più in grado di riconoscerci.
In fondo, è proprio ciò che succede nella piccola comunità di Monterrey: dissolto il velo patinato di perfezione, nulla sarà più come prima. Ma non facciamo spoiler!