‘La Repubblica’ annuncia verifica dell’identità. Oggi, a distanza di qualche decennio, le parole del noto scrittore inglese George Orwell, la cui opera più nota è il romanzo ‘1984’ appaiono quasi profetiche.
È fresca la notizia riportata nell’articolo di Repubblica del 17 agosto, in cui appunto viene annunciato il nuovo provvedimento che il colosso dei media ha deciso di adottare. È solo questione di tempo, però, prima che il famoso ‘popolo del web’ insorga, denunciando un’ipotetica violazione di libertà individuale e privacy, mettendo in evidenza l’incoerenza imperante che domina l’attualità. Il romanzo distopico di G. Orwell descrive una società in cui una misteriosa autorità, chiamata Grande Fratello, controlla ogni aspetto della vita dei cittadini. Ci aveva visto molto lungo, ma una sola cosa non aveva previsto: nella società di oggi, siamo noi stessi, i cosidetti ‘controllati’, a fornire ogni possibile informazione su noi stessi, di nostra spontaea volontà.
Instagram, un colosso che rivoluziona la comunicazione
Instagram, un nome una garanzia. Ormai è diventato una parte significativa della nostra vita, quasi un aspetto instrinseco dell realtà quotidiana, una piattaforma che, specialmente negli ultimi anni, è giunta a costituire un vero e proprio universo parallelo, in cui passiamo gran parte del nostro tempo, spesso senza rendercene neanche davvero conto.
Non se se succeda anche a voi, ma non di rado mi capita di aver preso il telefono in mano senza un’apparente ragione e di aprire subito, in maniera ormai automatica, Instagram. Non c’è un reale motivo, non un vero pensiero dietro, ma piuttosto una sorta di automatismo, un gesto meccanico che sono abituato a fare. E ancor più spesso mi succede che dopo aver appena chiuso l’app, mi ritrovi a riaprirla dopo soli 10 secondi, reiterando il comportamento appena descritto, senza nessuna ragione apparente, perdendomi nel bel mezzo delle miriadi di contenuti proposti dal social network.
Ai suoi esordi, nell’ormai lontano 2010, la piattaforma era molto più scarna di oggi, e la sua principale proposta era quella relativa alle immagini che gli utenti potevano pubblicare in rete, aggiungendo una piccola descrizione scritta, di non molti caratteri. Oggi invece la musica è completamente cambiata, poichè Instagram ha inglobato quasi ogni aspetto concernente la realtà che ci circonda al suo interno: infatti è possibile seguire le pagine delle più note testate giornalistiche nazionali e internazionali per rimanere informati sull’attualità, oppure approcciarsi ed essere in contatto con la dimensione del mondo dello spettacolo, potendo seguire i profili social delle più influenti celebrità del momento, quali ad esempio attori di film e serie tv, cantanti, conduttori, presentatori ecc, e affianco a tutto ciò è possibile seguire i profili di amici e conoscenti, così da vedere le loro foto e soprattutto le loro ‘storie’, immagini o brevi video di massimo 15 secondi in cui condividere ciò che si sta facendo in quel momento, o ancora immagini, pensieri, emozioni, un po’ tutto quello che vogliamo della nostra vita privata, rendendola così pubblica, portandola quasi su una sorta di ‘palcoscenico virtuale’.
La mia domanda è: ha davvero ancora senso, alla luce di quanto scritto sopra, parlare di privacy?
Instagram annuncia la verifica d’identità dei cosidetti ‘fake’
Dato l’enorme numero di profili cosiddetti ‘fake’ presenti sulla piattaforma, ovvero che non corrispondono realmente a un’identità ben definita, i cosiddetti bot che spesso incontriamo nelle nostre storie e nei nostri like sotto i post, Instagram ha appunto deciso di introdurre un meccanismo ch richieda loro una verifica dell’identità, mediante presentazione di un qualsiasi documento d’identità.
«Vogliamo che i contenuti che vedete su Instagram siano autentici e siano pubblicati da persone reali, non bot o profili che tentano di ingannarvi», è questo quanto ha dichiarato il gruppo ufficiale del social sul blog ufficiale, per spiegare il motivo dell’iniziativa. E qui appunto si pone, secondo me, una contraddizione di fondo: come la mettiamo con la tanto falsamente osannata privacy, la dea falsamente venerata negli ultimi anni, che si vede, in una qualche maniera, tutto d’un tratto violata?
A poposito di questo, vi invito a leggere la ‘bustina di Minerva’ pubblicata nel 2014 su ‘L’Espresso’ da Umberto Eco, in cui il noto scrittore ironicamente mette a nudo l’ipocrisia imperante che gravita attorno al concetto di privacy, che lui definisce, in italiano ‘privatezza’.
«Siamo ossessionati dalla difesa della riservatezza contro il Grande Fratello che ci osserva e ascolta. Almeno così sembra. In realtà tutti vogliono farsi vedere. Perché apparire, anche mostrando il peggio di sé, è l’unico modo per esistere».
Queste sono le prime parole che utilizza l’autore nell’immediato spazio appena sotto il titolo, ma sono già, di per sè emblematiche e racchiudono al loro interno tutto quell che riguarda la contraddizione paradossale circa il concetto della ‘privatezza’
In un mondo in cui ormai l’apparire è diventato, tristemente, il paradigma che calca da protagonista quasi ogni aspetto della vita, mettendo drammaticamente in secondo piano la sostanza e il contenuto con lo scopo di esistere ed essere notati, quasi come se la vita fosse diventata un enorme palcoscenico su cui si fa a gara a chi strilla e scalcia di più per esser visto, trovo appunto molto ipocrita parlare e considerare anche solo in maniera teorica seriamente il concetto di privacy.
Sostanzialmente a nessuno interessa questo concetto, che anzi è quasi un ostacolo che offusca la nostra recita sul palco dell’apparire e ci tiene lontani dai riflettori, ma che poi, molto incoerentemente rivendichiamo nel momento in cui un social, come appunto può essere Instagram, richiede una verifica dell’identità per eliminare o segnalare profili inattivi, usati col solo scopo di incrementare views e followers che alcuni utenti comprano. È paradossale come ci indigniamo quando siamo noi stessi in prima persona, ogni giorno della nostra vita a fornire alla piattaforma ogni tipo di informazione personale e privata della nostra esistenza, pubblicando contenuti, storie e scambiando messaggi. È solamente una questione di palesare o meno il meccanismo, che quando viene portato a galla in maniera più evidente con la richiesta di un documento, appare più evidente rispetto a quando postiamo una foto o di quando scambiamo informazioni con il sistema di messaggistica istantanea chiamato ‘direct’, ad esempio, ma sempre di questo si tratta, ovvero di dare libero accesso alla rete, chi più, chi meno, ad aspetti privati della nostra esistenza. Se siamo i primi a farlo, perchè indignarsi?
La profezia di Orwell oggi, nel mondo di Instagram
George Orwell, uno degli scrittori più influenti del ventesimo secolo non era andato molto lontano dal modello di società in cui viviamo attualmente nel suo famoso romanzo 1984.
L’opera, una narrazione distopica scritta a metà degli anni ’40 e ambientata nel futuro rispetto a quando è stata concepita, precisamente nell’anno 1984, racconta di una società in cui non esiste più in nessuna forma la dimensione del ‘privato’ e in cui ogni aspetto della vita del singolo è controllato da una misteriosa entità superiore, chiamata ‘Grande Fratello’, che sostanzialmente omologa ogni individuo ad un pensiero comune e univoco, imposto dall’alto. Chiunque decida di non attenersi a questi paradigmi e osi pensare fuori da queste logiche viene perseguitato e torturato, essendo essenzialmente costretto a convertirsi alla logica imperante del misterioso partito di cui è a capo il cosiddetto Grande Fratello.
Questa visione così drammatica e, se vogliamo, spaventosa della società è fortemente influenzata dalla situazione storico-politica degli anni dei totalitarismi in Europa (epoca in cui è stata concepita l’opera) e si rifa in particolar modo alla Germania nazista e alla Russia stalinista.
Il parallelismo con l’attualità, a parer mio, è molto chiaro, seppur le dinamiche siano ovviamente diverse, oserei dire speculari: nella società contemporanea, proprio come predetto, quasi profeticamente, da Orwell, la dimensione personale e privata è stata quasi del tutto cancellata, ma non è un qualche regime totalitario o qualche partito politico a negarcela, al contrario, la dinamica è molto più sottile, seppur l’effetto prodotto, alla fine, non cambi molto.
Attraverso le ideologie che si sono diffuse negli ultimi anni nella società contemporanea, in cui la vita del singolo è da considerarsi, seppur in piccolo, come una rappresentazione da mettere in scena per un pubblico che ci guarda, un palcoscenico su cui esibirsi in cui è necessario apparire per farsi notare, siamo noi stessi in prima persona a decidere di volerci privare della dimensione privata, siamo sempre noi a scegliere di rinunciare, in maniera sempre più marcata, alla nostra soggettività e singolarità, al fine di barattarla con un briciolo d’ attenzione dall’esterno che ci faccia in qualche modo apparire agli occhi di qualcuno, che sembra esser drammaticamente diventato l’unico modo per esistere in una società dell’apparenza.
Ormai non importa più cosa si nasconda dietro ad un fisico perfetto mostrato su Instagram da una ragazzina, che spesso è il frutto di disturbi e disordini alimentari o cosa si celi dietro alle storie che ci ritraggono sempre in compagnia di conoscenti e amici, a fare aperitivi e andare in discoteca, che spesso sono l’espressione di una ben nascosta solitudine esistenziale.
Mina, in una delle sue famose canzoni cantava ‘l’importante è finire’. Se il testo fosse stato scritto oggi, invece, forse il testo reciterebbe piuttosto ‘l’importante è apparire’.