Oumuamua: solo una cometa o la realizzazione di “guida galattica per autostoppisti”?

In un anno di dubbi e incertezze, lo abbiamo chiamato in tutti i modi possibili, da sigaro spaziale ad asteroide interstellare, fino a promuoverlo definitivamente a cometa. Ma sull’origine di Oumuamua, alcuni scienziati sembrano proprio non darsi pace: secondo due fisici Abraham Avi Loeb e Shmuel Bialy dell’Harvard Smithsonian Center for Astrophisics, ci sarebbe la possibilità che Oumuamua possa essere una navicella spaziale progettata per un viaggio interstellare. In altre parole (anche se sembra davvero difficile a credersi), i due studiosi hanno raccontato in uno studio pre-print appena diffuso, che potrebbe essere un oggetto creato per mano di una vita extraterrestre. E sebbene a dirlo siano due studiosi di una delle più prestigiose università al mondo, dobbiamo evidenziare il fatto che nel nuovo documento non è presente alcuna prova e dato che dimostri che sia davvero una astronave extraterrestre. Citando la pubblicazione:

“Oumuamua è il primo oggetto di origine interstellare osservato nel sistema solare. Recentemente è stato riferito che Oumuamua ha mostrato deviazioni dall’orbita Kepleriana ad alto significato statistico. La traiettoria osservata è meglio spiegata da un eccesso dell’accellerazione radiale: ∆a ∝ r ^−2, con r pari alla distanza di Oumuamua dal Sole. 

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L’accellerazione è naturalmente prevista per le comete, e dovuta dai materiali in evaporazione, tuttavia recenti studi teorici ed osservazionali implicano che Oumuamua non sia una cometa attiva. Nello studio vengono esplorate le possibilità che l’eccesso dell’accellerazione derivi dalla pressione della radiazione solare. In questo caso il rapporto massa-area necessario sarebbe (m/A)≈ 0,1 g*cm-2. per un oggetto molto sottile la precedente formula implicherebbe uno spessore compreso tra gli 0,3 e 0,9 mm. Ciò che evinciamo dal nostro studio è che, sebbene estremamente sottile, un tale oggetto potrebbe sopravvivere ad un viaggio interstellare, resistendo a collisioni con gas e polveri e a sollecitazioni dovute a forze di rotazione e marea. Verranno quindi discusse le possibili origini di un tale oggetto. i risultati ottenuti sono applicabili a tutte le sonde luminose progettate per i viaggi interstellari.”

In particolare

Estraneo al nostro sistema solare e solo di passaggio, gli astronomi di tutto il mondo si erano chiesti cosa fosse esattamente e da dove provenisse. E, già un anno fa, ricordiamo, tra le varie ipotesi c’erano state anche le fantasiose voci secondo cui l’asteroide interstellare potesse essere una navicella spaziale aliena arrivata da un altro Sistema solare. Voci, queste, che erano state messe a tacere già ai tempi dalle analisi del progetto Breakthrought Listen, che monitorando l’asteroide con una campagna di ascolto in cerca di eventuali segnali radio provenienti da Oumuamua, aveva infine dichiarato che queste ipotesi erano da ritenersi del tutto remote e improbabili.

Lungo 800 metri, largo 80 metri e con un cuore da roccia e ghiaccio avvolto in quella sua bizzarra forma. Ma ciò che incuriosiva maggiormente la comunità scientifica era che l’oggetto spaziale aveva piccoli cambiamenti di direzione e velocità che non potevano essere attribuiti alle sole forze gravitazionali. Una buona spiegazione, secondo la scienza, sarebbe nel processo di degassamento, dove getti di materiale gassoso espulsi dalla superficie, dovuti all’interazione tra il calore del Sole e le componenti ghiacciate di Oumuamua, ne avrebbero aumentato la sua velocità.

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Ma se fosse stata davvero una cometa, secondo la nuova ipotesi dei due studiosi, il degassamento si sarebbe dovuto verificare a poca distanza dal Sole, e non mentre si Oumuamua si allontanava. Ed è proprio da questa anomalia che Loeb (che precisiamo è coinvolto non a caso nel Breakthrough Starshot Initiative, progetto volto alla ricerca di segnali provenienti dallo Spazio) e Bialy nel loro nuovo studio hanno suggerito che il movimento di ‘Oumuamua sia stato progettato artificialmente per essere spinto nello Spazio usando la forza della luce, attraverso una vela solare.

Ovviamente, lo scetticismo da parte di altri esperti non ha tardato ad arrivare. Per esempio, Michele Bannister, un astrofisico della Queen’s University di Belfast, ha commentato al giornale Popular Science che la nuova ipotesi sarebbe appropriata solo se non ci fossero altre solide spiegazioni per l’improvviso aumento dell’accelerazione di Oumuamua. In altre parole, spiega l’esperto, qualsiasi oggetto misterioso potrebbe teoricamente essere manodopera degli alieni, ma ciò non vuol dire che quando un fenomeno sfugge a una spiegazione convenzionale significa allora che sia automaticamente frutto di forme di vita extraterrestri. “Abbiamo buone spiegazioni che si adattano bene ai dati”, ha precisato Bannister, citando un articolo pubblicato su Nature all’inizio di quest’anno (a cui hanno collaborato anche studiosi italiani) che si è basato sui dati raccolti in otto mesi per supportare l’idea che l’oggetto spaziale possa essere considerato una vera e propria cometa.

Infine, dobbiamo precisare che c’è una grande differenza tra le fantasiose ipotesi che giravano un anno fa e ciò che Loeb e Bialy hanno deciso di fare. “Ora è passato più di un anno dal passaggio di Oumuamua”, dice Bannister. “Non abbiamo fretta e abbiamo tutti i dati a disposizione per cercare semplicemente di aumentare la nostra comprensione su questo visitatore. Una nuova ipotesi come quella dei ricercatori di Harvard è più rumore che altro. Ci vorrà molto tempo per analizzare tutti i dati raccolti su Oumuamua, ma la cosa sicura è che l’oggetto non è alieno”.

What if…

Ebbene, nonostante la maggioranza della comunità scientifica concorda sul fatto che Oumuamua non abbia nulla a che fare con gli alieni, non sarebbe figo se qualche società extraterrestre fosse così avanzata da riuscire a mandare in giro per l’universo una specie di sonda in grado di rilevare la vita?

Probabilmente no. In effetti ragionando da un punto di vista puramente materiale, ed umano di conseguenza, una società così avanzata probabilmente non avrebbe alcun interesse in essere tanto primitivi quanto lo siamo noi, perciò non si farebbe scrupoli a spazzarci via per il loro interesse. Se per noi umani “tutto il mondo è paese” allora potrebbe valere lo stesso per altri mondi.

Il concetto fu espresso, in chiave tragicomica, anni fa con l’opera di Douglas Adams “Guida galattica per autostoppisti” in cui Adams immaginava che la terra stesse per essere distrutta per far spazio ad un’ “autostrada” intergalattica.

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Il protagonista, Arthur Dent, scopre che alcune ruspe gialle (che ha appena notato nel suo giardino) stanno per demolirgli la casa in cui abita per fare spazio a una nuova superstrada. Dopo poche ore gli abitanti della Terra scopriranno che il loro pianeta sta per avere lo stesso destino, a causa di una flotta di astronavi, del prostetnico vogon Jeltz dell’Ente Galattico Viabilità Iperspazio, che appaiono improvvisamente nel cielo. Arthur viene salvato da un suo vecchio amico, Ford Prefect, che si rivela essere un alieno originario della stella Betelgeuse e che lo trascina con sé, chiedendo un passaggio ad una delle astronavi demolitrici. Arthur scoprirà così un universo sconosciuto, nel senso letterale del termine, in cui la sua unica bussola sarà la Guida Galattica per gli Autostoppisti. Si tratta di un libro in forma di un piccolo computer (una sorta di eBook reader a comando vocale ante litteram), un best seller universale (Terra esclusa), che si vende benissimo per due ragioni:

  1. costa poco;
  2. reca stampate, a grandi lettere amichevoli sulla copertina, le parole “DON’T PANIC” (“NIENTE PANICO”).

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Ford lo condurrà in avventure entusiasmanti ed improbabili, sballottati in giro per lo spazio-tempo a bordo dell’astronave “Cuore d’Oro”, che viaggia a “propulsione di improbabilità infinita”, in compagnia di un vecchio amico d’infanzia di Ford a due teste, oramai ex Presidente della Galassia, Zaphod Beeblebrox, della sua ragazza terrestre, Trillian, e di un robot perennemente depresso, Marvin. Giunti sul leggendario pianeta Magrathea, incontreranno il progettista che ha costruito la Terra e i clienti che gliela avevano commissionata, cioè i due (apparentemente) topi che Trillian aveva portato con sé lasciando il pianeta, che stanno ancora cercando la domanda della “risposta alla domanda fondamentale sulla vita, l’universo e tutto quanto”.

Ora, non è certamente detto nel caso un’eventuale razza aliena ci trovasse l’unico intento che avrebbe sarebbe quello di distruggerci, allo stesso modo, però, è valido il contrario; la domanda che dobbiamo porci è proprio: “What if…?”.

-Valto

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