La definizione del sé è un processo complesso che tutti noi prima o poi dobbiamo affrontare, cercano di non lasciarci influenzare da ciò che gli altri dicono o pensano di noi. Non è però facile come sembra.
Attraverso il romanzo “Uno nessuno e centomila” di Luigi Pirandello e la canzone “Dicono di me” di Cesare Cremonini, vediamo quanto l’opinione degli altri sia importante nella definizione del sé.
VITANGELO MOSCRADA E IL SUO NASO STORTO
Pubblicato nel 1926 “Uno nessuno e centomila” è uno degli ultimi i romanzi di Luigi Pirandello, autore siciliano tra i più importanti del secolo scorso. La narrazione inizia con un’importante quanto tragica rivelazione, destinata a lasciare nel protagonista Vitangelo Moscarda una traccia indelebile: il suo naso, a differenza di come aveva sempre immaginato, è storto. Questa notizia, come fosse un’epifania, genera in lui non poca angoscia tanto che inizierà pian piano a mettere in dubbio ogni aspetto del reale. Nell’opera è posto l’accento sull’io e la fragilità di esso, vittima delle più fortuite circostanze, sempre in balia degli eventi. Il fatto che Vitangelo, causalmente, abbia scoperto che il suo naso non sia mai stato come egli pensava che fosse, ha scatenato in lui una vera e propria crisi d’intentità, innestando una serie di eventi che gradualmente hanno portato alla frantumazione dello stesso io. È in questo la ragione de titolo: l’ “uno” rappresenta l’immagine che ci si costruisce del sé, “nessuno” ciò che sceglie di essere Vitangelo al termine del romanzo e “centomila” le costruzioni degli altri sulla nostra persona.
DICONO DI ME CHE SONO… CESARE CREMONINI
Era il 2008 quando un giovane Cesare Cremonini lanciò la traccia “Dicono di me”, scalando in pochissimo tempo le classifiche e piazzandosi per tutta l’estate nella top ten dei brani più ascoltati in radio. Nella traccia il cantante bolognese, con genuinità e leggerezza della penna, ha affrontato un tema molto delicato: l’invadenza dei pregiudizi, dicendo con semplicità che in molti parlano ma, in realtà, “nessuno sa”. Il brano si presenta come un susseguirsi di giudizi che i più rivolgono al protagonista:
Dicono di me che sono un bastardo, bugiardo senza un perché
Dicono di me che sono una stupida frase da dire davanti a un caffè
Dicono di me che sono una strega drogata e truccata, e piena di sé
Nel ritornello però il cantate rivendica con forza il suo vero essere, lontano anni luce da tutti questi appellativi a lui, ingiustamente, riferiti. Si descrive come un amante sincero dal cuore romantico, disposto a proteggere la felicità della sua compagna che “ha il nome di un fiore” ed è “l’unica al mondo”, tutto “per lei”.
UNO, NESSUNO E CENTOMILA
La distanza tra l’opinione personale e quella degli altri quando si tratta della definizione del sé è abissale. La vicenda di Vitangelo ci insegna proprio questo: per una vita conviviamo con un corpo che vediamo (o crediamo essere) in un certo modo, con le nostre convinzioni o idee ma basta un incontro casuale, un’opinione talvolta non richiesta o il semplice gesto dello specchiarsi, per far crollare il castello di carte che ognuno si è costruito. L’essere umano è infatti debole ed incredibilmente vittima del giudizio degli altri, che sembrano essere sempre pronti ad etichettarci come più li aggrada, spesso non comprendendo, o perlomeno facendo finta di non comprendere, che anche una semplice parola può scatenare una crisi. Il corpo è forse l’unica cosa realmente nostra, che nessuno può sottrarci, è la nostra casa. Nonostante questo ci sentiamo sempre meno in diritto di arredare questa bellissima casa nel modo che più ci piace, costantemente influenzati da lingue di serpente, sempre pronte ad aprire la bocca, forse per invidia, forse per desiderio di “potere”, forse solo perché scontenti della loro vita. Nonostante la nostra splendida unicità diamo il potere agli altri di mettere in discussione noi stessi, perché? Non c’è una risposta giusta, neppure una sbagliata, c’è solo un dato di fatto: “nessuno sa”.