Toulouse-Lautrec: l’artista che ritraendo ballerine inventò i manifesti pubblicitari per spettacoli

I manifesti pubblicitari degli spettacoli teatrali e dei film ormai fanno parte del nostro quotidiano, ma non è sempre stato così: ecco come l’artista Toulouse – Lautrec ha inventato la locandina per spettacoli.

Immagine dell’archivio di pubblico dominio del Met Museum

Lautrec è stato un artista estremamente versatile nelle arti, capace di passare dal disegno alla pittura, e poi alla “grafica d’arte”, attività all’epoca ancora poco sperimentata e molto lontana dalla “grafica” contemporanea.
È cosí che la sua produzione tocca livelli altissimi e incontra il favore del pubblico che rimane affascinato, oggi come allora, in particolar modo dai suoi manifesti sinceri ed incisivi.

Origini

Henri de Toulouse-Lautrec nacque nel novembre 1864 in una delle famiglie più prestigiose di Francia, in un cittadina non lontano da Tolosa.
La sua fu un’infanzia idilliaca, passata in mezzo alla natura e tra le coccole della madre, che lo aveva soprannominato “bébé lou poulit” (bambino grazioso), totalmente ignara della malattia fisica che lo avrebbe attanagliato dall’adolescenza per tutta la vita.
Quando, infatti, iniziò a frequentare il liceo, manifestò problemi di crescita e di deambulazione sopratutto dovuti alle gambe malformate.
Per questo passò molto tempo in convalescenza: lunghi periodi tra casa e  sanatorio che lo costrinsero all’immobilità, certamente sgraditi e noiosi a un ragazzo vivace. Fu in queste occasioni che approfondì la passione per la pittura, coltivandola con forza e dedizione sempre maggiori, disegnando incessantemente, anche su pezzetti di carta.
I soggetti che prediligeva erano i cavalli in movimento, tanto amati dal padre e simboli del desiderio di salute e libertà che non poteva avere.
Una volta ristabilito, Toulouse – Lautrec decise che avrebbe avuto bisogno di un maestro di solida fama, e così si rivolse a Leon Bonnet, che gli insegnò a praticare l’arte della pittura con dedizione estrema e ad affinare le tecniche il più possibile, senza tralasciare i dettagli e con attenzione ossessiva.
Alla fine, tra il maestro e l’allievo, vennero a crearsi gli inevitabili conflitti, dovuti anche ad alcune critiche che Bonnet gli rivolgeva; una delle più famose fu: “La pittura non è niente male, questo è eccellente, insomma… niente male. Ma il disegno è veramente terribile!” .
L’artista ricordò sempre con grande rammarico questo rimprovero, anche perché le sue opere  avevano già un grande talento grafico e pittorico oggettivo; così decise di abbandonare la scuola di Bonnet. 

“Studio di Yvette Guilbertové“, 1894, immagine di dominio pubblico di Wikimedia Commons.

Contesto e stile

Si trasferì a Montmartre, quartiere di Parigi prediletto dagli impressionisti e dagli artisti in generale.
La zona, infatti, all’epoca, era al confine con la “Butte”, la parte più periferica, popolare e campagnola della grande città, il regno del maquis, la “macchia” intricata di arbusti, spine e sentieri campagnoli, che attraeva tanto gli impressionisti quanto gli anarchici e i fuorilegge.
Allo stesso tempo, però, Montmartre confinava anche con il boulevard de Clichy Boulevard de Rochechouart dove, durante gli anni Ottanta, avevano aperto molte attività di piccoli esercizi e tutta una serie di locali notturni, caffè, sale da ballo.
Nel 1889 aprì il famoso Moulin Rouge, e gli aristocratici e alto borghesi iniziarono a frequentare quei luoghi in cerca di emozioni forti, mischiandosi con la popolazione bohemien.
Fu questa la vera carica trasgressiva di Montmartre: la fusione del bel mondo con artisti e gente del popolo, in una mistura variegata di colori, espressioni e apparenze totalmente diverse.
In questo contesto, Lautrec sperimentava un pittura che risentiva degli influssi dell’impressionismo, ma era lontana dal metodo en plein air e dai suoi soggetti lirici e quasi pastorali. Anzi che i paesaggi e il “moto dell’aria”, Lautrec  prediligeva proprio quei soggetti variegati e pittoreschi che il quartiere gli metteva a disposizione. Il suo interesse si rivolgeva al personaggio e non al contesto, che serviva solo ad accentuare i protagonisti dell’opera, espressivi e carichi di emozioni, sempre diversi l’uno dall’altro,  di cui l’artista esprimeva i lati gaudenti ma anche le ombre e le inquietudini.
Con uno sguardo estremamente cinematografico, che si potrebbe facilmente tradurre in primi piani felliniani col soggetto a fuoco e lo sfondo sfuocato, i suoi personaggi espressivi ne sono al centro eppure ne sono anche fuori, valicando il confine della cornice o dell’inquadratura.

A sinistra: il manifesto per A. Bruant di T. Lautrec, immagine fornita da Wikimedia Commons.
A destra: la locandina del film biografico su Fellini di Ettore Scola, immagine di dominio pubbico fornita da Flickr.

I manifesti

La nascita della litografia a colori, contemporanea al pittore e considerata antenata della moderna grafica, coincide con la sua prima attività di litografo ed illustratore di libri.
Quando inizia a produrre manifesti per gli spettacoli, Toulouse-Lautrec passa le giornate nelle sale a ritrarre e disegnare i personaggi interpretati dagli attori durante le prove, familiarizzando col soggetto il più possibile e in maniera quasi ossessiva, per giungere ad una esecuzione dell’opera finale rapida e precisa.
L’iconica locandina per lo spettacolo al Moulin Rouge del 1891,  conduce subito lo spettatore dentro il manifesto “in medias res” (ovvero come se fosse già presente da molto tempo) sopratutto grazie al contrasto tra la figura della ballerina e il contesto corredato di macchie di luce gialla, l’impostazione insolita della scena con una figura in primo piano e alcune dietro che spezzano la composizione, il punto di vista perfettamente in linea con quello degli occhi di chi entra in una sala da ballo.
La rivista “Arte & Dossier”, in occasione della mostra a Roma dedicata interamente all’artista, afferma:

I suoi manifesti sono immagini di squisita fattura, dallo stile semplice ed essenziale, costruito sulla stilizzazione del segno e sulle campiture di colore a piatto[…] Queste opere, si possono considerare, a buon diritto, gli archetipi del manifesto pubblicitario moderno.

Il suo, infatti, era uno stile estremamente innovativo per l’epoca, tanto che aprì letteralmente la strada alla pubblicità di accezione moderna, ovvero la creazione di un’ immagine che sappia inviare un messaggio ma anche correlarsi di uno stimolo visivo accattivante, che attragga l’osservatore e gli rimanga in mente.
I manifesti di Lautrec sono incisivi, vanno al sodo di ciò che devono raccontare, si focalizzano sui personaggi la cui espressione è più importante della messa in scena, e così, paradossalmente, riescono a far sentire l’osservatore già parte di ciò che non ha ancora sperimentato.

A sinistra: il manifesto per il Moulin Rouge creato da Lautrec nel 1891, immagine di dominio pubblico di Wikimedia Commons. A destra: la locandina argentina del film “ La Dolce Vita”, immagine di dominio pubblico di Flickr.

 

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